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Mirabelli: “Sono andato a casa Rakitic per portarlo al Milan. Su Raiola…”

Massimiliano Mirabelli, ex direttore sportivo dell'ACMilan (credits: GETTY Images)

Massimiliano Mirabelli, ex direttore sportivo del Milan, ha concesso una lunga intervista a calciomercato.com. Ecco cosa ha detto

Salvatore Cantone

NEWS MILAN - Massimiliano Mirabelli, ex direttore sportivo del Milan, ha rilasciato un'intervista al portale  calciomercato.com: "La mia quarantena? Passeggiate in giardino. Penso, telefono, mi aggiorno. E poi guardo tutti quei video che avevo lasciato indietro. Mi godo la famiglia, apprezzo la quotidianità che prima non avevo sotto gli occhi. Vedo le mie figlie studiare, trascorro tempo con loro e in più sto arricchendo le mie basi in cucina".

Sulla mancanza del calcio: "Mi manca il campo, la programmazione del lavoro. Per il resto vivo di calcio, osservo prospetti del domani. Adesso dal video, poi andrò sul posto appena sarà possibile. Se qualcuno mi ha rubato l'occhio? Forse si, ho visto quelle cose che mi portano in la col pensiero, qualche ragazzo che sa rompere la noia di questi giorni".

Su cosa deve avere un buon osservatore: "A mio modo di vedere possiamo scindere la categoria in due gruppi; quelli che riconoscono il talento nei ragazzi giovanissimi; e quelli che selezionano per la prima squadra. Salvo eccezioni, gli uni non sanno svolgere il mestiere degli altri, scambiandoli si rischierebbe la catastrofe. Tornando alla domanda, il bravo osservatore è quello che nelle ultime righe della relazione scrive in modo inequivocabile se il calciatore è da prendere o meno. Dopo tre, massimo quattro partite seguite dal vivo, deve essere in grado di esprimersi in modo netto, senza fare il democristiano con frasi del tipo: va seguito ancora, è interessante o teniamolo d’occhio. L’osservatore è l’insieme delle emozioni che vive sul campo e delle esperienze raccolte. Chi sceglie giocatori deve essere in grado di poter fare anche dei paragoni e per questo motivo più calciatori conosci e più potrai avere le idee chiare".

Sulle emozioni: "Io li chiamo anche ganci. Ci sono dei giocatori che ti rapiscono per un atteggiamento, per una peculiarità ed è così che inizi a seguirli. In seguito ci si concentra su altro, chiaramente. Faccio l’esempio di Aubameyang, che è un calciatore incredibile. Quando lo osservavo al St. Etienne aveva una caratteristica che mi faceva impazzire: nonostante le enormi doti da realizzatore e assist-man, si dannava l’anima quando la sua squadra non era in possesso palla. Rientrava nella propria metà campo e pressava fino alla riconquista del pallone da parte dei suoi compagni. Sarò ripetitivo, ma i giocatori bisogna vederseli dalla tribuna".

Ricordi su calciatori seguiti: "Ricordo un grande classico d’Argentina, ero alla Bombonera e si giocava Boca-River. Lo stadio era una bolgia, pieno in ogni ordine di poso. Guardavo la partita con grandi aspettative ma nessuno mi fece realmente impazzire e rientrai in albergo un po’ deluso a riempire i miei fogli. Il giorno dopo mi ripresentai alla Bombonera, questa volta era vuoto e si giocava nuovamente Boca-River, ma con i rispettivi settori giovanili. Niente a che vedere con lo spettacolo in tribuna del giorno prima, eppure in campo c’era qualcosa di speciale. Un ragazzino che dominava il centrocampo con una personalità che si distingueva. Faceva sembrare tutto semplice. A un certo punto la sua squadra rimane in dieci e il tecnico lo abbassa come centrale di difesa. Fa benissimo anche lì. Allora torno in Italia e racconto tutto sia a Mancini che a Piero Ausilio. Gli dico che ne ho visto uno veramente forte, il nome è Rodrigo Bentancur e si può prendere a fronte di un investimento non troppo esoso".

Sull'Inter: "L'Inter era la possibilità che aspettavo da tempo. Avevo conosciuto tutto delle categorie inferiori ma volevo aprirmi al mondo. Avvertivo l’esigenza di studiare nuovi profili, volevo in qualche modo rompere gli argini e Ausilio me ne ha dato modo".

Su Ausilio che prese male il suo passaggio al Milan: "È una cosa che ancora adesso mi provoca dispiacere. Piero è una persona cui ho voluto e voglio un gran bene. A lui devo molto, un uomo con valori che condivido, un professionista serio. Se ho mai chiarito con lui? Mai per come avrei voluto. Ci siamo incrociati in occasione di qualche derby ripromettendoci una cena che per mille motivi diversi non si è mai svolta. Ma prima o poi accadrà, magari al termine di questo brutto periodo che stiamo vivendo".

Su Mancini: "Un uomo di una classe incredibile, sotto tutti i punti di vista. Ricordo che ad Appiano era consuetudine girare in tenuta sportiva, ma mentre noi comuni mortali potevamo apparire dei pezzenti, lui, che pure indossava la stessa e identica tuta, pareva sfoggiasse abiti sartoriali. Non me ne sono mai fatto una ragione. Mancini è incredibile nel modo di porsi, nell’impostazione del lavoro. È nato per vincere e non ha paura del fallimento. Ascoltatelo nelle interviste, è diverso dagli altri. Gli allenatori mettono le mani avanti, dicendo che l’erba del vicino è sempre più verde, che il lavoro degli altri è partito prima, che bisogna costruire. Le inventano tutte per togliersi di dosso responsabilità che poi la stampa potrebbe fargli pagare. Mancini invece se ne frega, anche da ct, lui gioca l’Europeo e si presenta per vincerlo. Solo chi è grande come lui non si cura di certi rischi".

Se Mancini non fosse andato via dall'Inter lui avrebbe accettato il Milan? "Non è semplice rispondere a questa domanda ma forse la sua scelta ha in qualche modo influenzato la mia. Il Milan rappresentava comunque un’esperienza da vivere, passavo da capo scout alla gestione tecnica di una società. Ho scelto anche rischiando, perché dopo aver lasciato l’Inter ho atteso per mesi un closing che a un certo punto sembrava destinato a non realizzarsi".

Su Raiola: "Raiola sa che ho giocato le uniche carte a mia disposizione per riuscire a fare il bene della società per cui lavoravo. Chi adesso opera nel Milan può rendersi conto di quanto complicato sia rinnovare il contratto di Donnarumma, mentre io sono andato via lasciandolo a tre anni dalla scadenza. Un’operazione che oggi sembra irripetibile".

Su Locatelli: "Sorpreso dalla sua esplosione? No, non lo sono per niente. Diventerà un centrocampista da Juve, tant’è che io avevo già trovato un accordo col Sassuolo e con Carnevali per il suo passaggio in neroverde, ma avevo chiesto la clausola di recompra, e su quella base avevamo raggiunto un accordo".

Su Tonali: "Chi farà più strada tra Locatelli, Esposito, Chiesa, Castrovilli, Tonali, Bastoni? Prima mi conceda di dire che sono tutti calciatori fantastici, che insieme fanno parte del patrimonio del calcio italiano. Fatta la doverosa premessa, se proprio devo fare un nome faccio quello di Tonali. Se chiudo gli occhi e immagino il futuro, è l’unico che vedo giocare senza alcun problema in squadre come Real e Barcellona. Tonali è un perno, uno su cui fondare il futuro, lo metti a centrocampo e sei coperto per tantissimi anni".

Un retroscena sul Milan: "Vi svelo una cosa mai detta a nessuno. Quando lavoravo per il Milan andai a Barcellona, ai tempi Rakitic stava parlando di rinnovo con Il suo club e io volevo capire se avesse intenzione di valutare anche altre piste. Arrivammo a casa sua in auto e dal garage prendemmo un’ascensore che ci portò all’appartamento. Era entusiasta, mi disse che se non avesse proseguito col Barcellona avrebbe seriamente preso in considerazione il nostro progetto. Quel dialogo mi segnò, avevo di fronte un campione che in testa non aveva altro che il calcio. Indirizzava ogni singola scelta quotidiana alla sua carriera, dal cibo al riposo, dal tempo libero agli allenamenti. Un uomo e un calciatore pazzesco".

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