Il Milan, la sua squadra, è stata praticamente una scelta di vita... «Il Milan è per me una seconda famiglia, un’àncora di salvezza. Quando ero ragazzino sono stati attenti a quello di cui avevo bisogno, l’aspetto umano è fondamentale, perché prima dell’atleta c’è la persona».
San Siro è il suo stadio, si ricorda la sua prima volta nel tempo del calcio milanese? «Ricordo un’emozione grandissima, pensate che sono passato da un paese di diecimila abitanti alla metropoli che è Milano. Lo stadio l’avevo visto solo in tivù, non avrei mai pensato di giocarci, di diventare quello che sono diventato e di vincere quel che ho vinto».
Il suo esordio avvenne a 17 anni a Verona. Cosa ricorda di quel periodo? «In particolare ricordo di aver avuto la fortuna di giocare con Gianni Rivera, lui era a fine carriera. Abbiamo giocato insieme solo due anni, ma sono stati anni preziosi, nel quale ho potuto imparare tanto da lui, osservando come si muoveva, come gestiva certe situazioni, la sua eleganza e la sua attenzione per chi giocava meno, per chi stava in panchina, che faticava in allenamento come i titolari».
Lei si è messo al braccio la fascia di capitano a soli 22 anni. Cos’ha provato? «Non è stato un momento facile, perché andammo in serie B. Ma ho capito strada facendo quanto importante sia fare attenzione al bene della squadra più che al proprio personale, io non parlavo moltissimo, ma ha cercato di dare l'esempio con i fatti».
Si dice che lei sia stato anche il preferito del presidente Silvio Berlusconi... «È stato un presidente straordinario, per le idee e la capacità di trasmettere a tutto l’ambiente l’innovazione e la sua competenza. C’era un legame speciale, volle regalarmi nella partita d’addio anche un pallone d’oro, quello che non ho mai vinto. Il Milan ritirò inoltre anche la mia maglia numero 6». LEGGI ANCHE: Calciomercato Milan, chi è Mastantuono? Come gioca e i suoi numeri | VIDEO >>>
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