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Sacchi: “Il mio Milan aveva stile ed identità. In Europa vinci con il gioco”

Arrigo Sacchi, ex allenatore del Milan
A 30 anni dal 5-0 di 'San Siro' contro il Real Madrid, Arrigo Sacchi, tecnico di quel Milan, ha parlato a 360° del calcio di un tempo e di quello di oggi

Daniele Triolo

ULTIME MILAN - Arrigo Sacchi, ex tecnico del Milan negli anni Ottanta e Novanta, ha parlato oggi, ai microfoni di 'Sport Mediaset', a 30 anni esatti di distanza dal 5-0 inflitto al Real Madrid, a 'San Siro', nella semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni (clicca qui per il nostro amarcord!). Queste le dichiarazioni di Sacchi:

Su quel Milan, poi vittorioso nella finale di Barcellona contro la Steaua Bucarest: "Quella squadra aveva uno stile e lo stile dà senso di appartenenza. Quella squadra è stata considerata la più grande di tutti i tempi. Pensi: l'Equipe, in quei giorni, scrisse che dopo Milan-Real il calcio non avrebbe più potuto essere lo stesso. Capisce cosa c'è dietro una frase del genere?”.

Su Juventus-Ajax"La Juventus ha Ronaldo, che è il più grande di tutti, ma non è bastato. Il gioco è quello che nel cinema chiamano trama, nella prosa copione e nella musica spartito. Bertolt Brecht diceva che senza copione restano soltanto improvvisazione e pressapochismo. Il gioco continua a essere centrale. Io sono stato fortunato, perché ho avuto alle spalle un club che la pensava come me, che aveva una visione a lungo termine e un'ambizione sana. Per noi una vittoria senza merito non era una vittoria. Siamo stati una squadra coraggiosa in un ambiente pauroso. Un ambiente che aveva vinto anche prima di noi, ma non da protagonista...".

Sulle dichiarazioni di Adriano Galliani sul Fair Play Finanziario: "Con le attuali regole, quel Milan non sarebbe mai esistito? Io non sono d'accordo. Il Milan avrebbe vinto comunque in Europa e con i soldi delle Coppe dei Campioni avrebbe continuato a farlo. Ma lo sa che il Napoli costava, di ingaggi, più del Milan? Eppure...".

Su Pep Guardiola: "Penso che Pep sia uno di quegli allenatori in grado di elevare i campionati in cui allena. Uno che ha permesso e permette al calcio di evolvere”.

Su Erik ten Hag, tecnico dell'Ajax: "Mi piacciono tutti quelli che vincono con merito e coraggio. Vede, l'altra sera ho sentito alcuni suoi colleghi ma anche alcuni tra i miei ex giocatori parlare dell'eliminazione della Juve: ci fosse uno che ha fatto notare con quanti uomini l'Ajax partecipa al gioco. Mi spiego: la Juventus ha tenuto sempre Leonardo Bonucci e Daniele Rugani su Dusan Tadic. Sempre, anche quando il pallone lo aveva lei. Nell'Ajax, Daley Blind si staccava e avanzava davanti alla difesa per partecipare all'azione. Più uomini farai partecipare allo sviluppo del gioco e più possibilità avrai di tenere il pallone. Purtroppo il nostro è un calcio pessimista e questo ci limita. I valori ti identificano...".

Su chi preferisce tra lo stesso Guardiola, Maurizio Sarri, Antonio Conte e Massimiliano Allegri: "Su, dai, questo lo sa da solo. Preferisco tutti quelli che danno un gioco. Tutti quelli che puntano sulla qualità. Lo stratega, se incontra un tattico, vince quasi sempre... Sarri negli ultimi anni è stato l'unico a dare fastidio alla Juventus, ma noi ce lo siamo fatti scappare. Una volta il direttore del Pais mi disse: siete un Paese antico che ama l'antichità. Ma come ha fatto a vincere in quel modo? La stessa cosa, in un'altra occasione, me la disse Mark Hughes. Una volta mi trovai con lui a parlare del mio Milan a una platea di allenatori. Feci vedere Bayern Monaco-Milan. All'andata avevamo vinto 1-0, quindi il pareggio ci bastava tanto più che eravamo senza Carlo Ancelotti, Roberto Donadoni e Ruud Gullit. Invece alla fine del primo tempo, le statistiche dicevano che loro avevano fatto un tiro in porta, noi 11. Eppure secondo Hughes l'Italia era quel posto dove se il campo fosse stato di 120 metri avremmo trovato undici dei nostri giocatori negli ultimi 20 davanti al portiere... La Uefa e France Football, recentemente, mi hanno inserito tra gli allenatori che hanno contribuito all'evoluzione del calcio. Per me è stato un onore che è tanto più grande se si pensa che è accaduto in un Paese calcisticamente conservatore come il nostro".

Sulla Nazionale di Roberto Mancini: "La bellezza è nel suo Dna, ma va supportata. In Nazionale è tutto molto più complicato...".

Su quando rivedremo un'italiana dominare in Europa come il suo Milan con quel Real Madrid:  "Non lo abbiamo quasi mai fatto. L'Inter di Helenio Herrera, che io tifavo, vinceva sfruttando i singoli e difese eroiche. Vinceva all'italiana. La Juventus, adesso, continua a puntare sulla qualità del giocatore più che su quella della squadra. Eppure negli ultimi 20 anni in Champions League, 18 volte hanno vinto squadre che puntavano sul gioco. Un motivo, credo, ci sarà...". Nel 1990, invece, altra impresa del Diavolo di Sacchi, stavolta 'targata' dal compianto Stefano Borgonovo: continua a leggere >>>

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