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Gullit: “Avevamo il mondo contro”, Sacchi: “Una volta picchiai l’arbitro” | LIVE News

Arrigo Sacchi Ruud Gullit Milan
Gullit e Sacchi, ex del Milan come giocatore e allenatore, raccontano degli aneddoti al Festival dello Sport di Trento: tutto LIVE.

Stefano Bressi

Due vecchie glorie del Milan, uno allenatore e uno giocatore, Arrigo Sacchi e Ruud Gullit, hanno parlato al Festival dello Sport di Trento, organizzato da 'La Gazzetta dello Sport'. Ecco le loro dichiarazioni e una raccolta di aneddoti sugli anni rossoneri, in cui hanno vinto tutto ciò che si poteva vincere più e più volte. Ecco le loro parole!

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- 23 set

Sulla passione per l'antico Egitto, Gullit: "È sempre stata una mia passione. Mi hanno regalato da piccolo un libro. Sono sempre stato appassionato. Ho fatto documentari, ho visitato posti in cui di norma nessuno può visitare. Ho viaggiato lungo il Nilo, ho potuto fare cose che mi affascinavano. Ho passato tre mesi incredibili. Vedere un popolo così avanzato, era quasi come il Milan... Ho visto cose incredibili. Voglio raccontare cose che mi hanno colpito. Tante statue sono rovinate, senza naso, anche la Sfinge, e mi hanno dato una spiegazione: sono andato al museo del Cairo e ho visto i sarcofagi, sono da vedere. E tante immagini sul sarcofago erano di neri. Poi ho scoperto che tanti faraoni erano neri. Venivano dal Sudan e non erano i veri nomi. Cufu era il nome del faraone che ha costruito la Piramide di Cheope, era africano. Poi molti faraoni sono diventati europei per Cleopatra, ma prima erano africani. L'Egitto è in Africa... Hanno tolto i nasi perché così altrimenti vedevano che erano neri e africani. Per me è stato importanti. Io vivo in un Paese in cui la storia è tutto di bianchi. Però scoprire che anche persone importanti come i faraoni erano nere mi ha reso felice. Poi a novembre su Amazon Prime esce il documentario. Mi hanno già dato disponibilità per il Sudamerica, per vedere i Maya, gli Incas... Nessuno lo sa, ma mi piace la storia".

- 23 set

Se si aspettava che Maldini fosse un grande dirigente, Gullit: "No. Perché era giovane, aveva altre passioni in quei momenti. Neanche io pensavo di diventare allenatore, me l'hanno chiesto e ho colto l'occasione. Paolo non pensavo... Ciò che mi piace, visto che ha avuto questo problema con la società di abbandono, è che almeno uno della nostra squadra è rimasto. Lui doveva stare al Milan, è la storia. Penso anche che se un giocatore viene chiamato da Maldini c'è più possibilità che firmi, lui è Paolo... Per me è difficile, perché quelli che erano con me sono andati tutti via. Mi chiedono i biglietti e non so chi chiamare. Paolo è una cosa del nostro Milan che è rimasta. In quegli anni, quando abbiamo giocato, non mi sono accorto che fossimo così bravi. C'era sempre un nuovo obiettivo. Dopo il campionato la Coppa Campioni... Non mi sono accorto come ci vedevano. Ricordo che dopo la carriera abbiamo giocato una partita per l'addio di Albertini, contro il Barcellona, che aveva vinto la Coppa dei Campioni e Seedorf era in panchina perché avrebbe giocato la seconda parte. Prima il vecchio Milan contro il 60% del Barcellona di quel momento e il 40% dei vecchi. Ciò che mi ha sorpreso è che gli automatismi c'erano subito appena scesi in campo. Dopo tutti questi anni... Il primo tempo vincevamo 2-0. Poi sono passato da Seedorf e hanno detto fosse incredibile per come giocavamo bene ed erano spaventati da come abbiamo giocato, sottolineando quanto potessimo essere forti a 28 anni. Così ho capito quanto eravamo bravi. Giocando dopo la nostra carriera allo stesso modo di quando eravamo giovani. Per me avere automatismi era come essere a casa. Tutto andava facilmente. Anche quelli del Barcellona avevano difficoltà. Attaccavamo il Barcellona ed eravamo già vecchi, per me era incredibile".

- 23 set

Sul seme messo dal Milan nel calcio italiano, ma poco seguito, Sacchi: "Cambiare non equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare. Qui non si vuole cambiare. Costacurta mi ha detto che ci hanno copiato ovunque, tranne qui. Noi facevamo una cosa non italiana. Dopo i romani siamo sempre scappati, il calcio si è adeguato. Il Milan invece attaccava, cresceva l'autostima del giocatore. Aggredivamo. Ora lo fanno in tutto il mondo. Ora in Italia stanno cominciando, ma squadre piccole. Il nostro calcio è prima non prenderle e poi si vedrà. Come può una persona tirar fuori il proprio sapere se la palla la hanno sempre gli altri. Sono cose semplicissime. Noi come allenatori non abbiamo aiutato le persone a capire, ma anche stampa e televisioni dicono bene anche quando non è bene pur di avere due persone in più. Non è giusto. Il pubblico ha diritto di emozionarsi, per emozionarti devi avere il pallone. In più non lo dice mai nessuno, ma le italiane giocano sempre con due in meno. È un paese antico che ama l'antichità. Non è bello, ma è così. Il calcio è lo specchio della cultura italiana. Noi siamo andati fuori. Tutti mi chiedono come sia uscita dall'Italia quella squadra. Abbiamo lavorato molto e avevamo una grande società. È importante. Anche l'aspetto sociologico è importante, ciò che fai a Torino o Milano non lo fai in altri posti, o difficilmente. Abbiamo sfruttato un Presidente che voleva vincere, convincere e divertire. Io non volevo spendere soldi o giocatori affermati. Sono venuti fuori grandi giocatori. Tassotti non giocava in Nazionale... Io mi portai due giocatori dal Parma, due terzini. Uno sapevo che non... Li ho portati per far capire cosa intendessi per professionalità. Che venivano prima all'allenamento, che non andassero via subito. Che facevano cose importanti in allenamento. Uno mi disse che si faceva fatica in settimana, ma ci si divertiva alla domenica. Perché la palla l'avevamo noi, i ritmi li facevamo noi. Eravamo consapevoli di essere forti, ci muovevamo diversamente. C'erano sincronismi. Quando uno aveva la palla volevo avesse sempre due possibilità. Se uno attaccava, l'altro veniva incontro. Abbiamo anche sfruttato il sapere del calcio italiano, ma l'abbiamo portato a livelli che nel mondo non c'erano. Due anni fa mi hanno invitato a Caldirola, travolta dal terremoto. Metà della popolazione viveva in un container. Mi hanno chiesto di andare a presentare La Coppa degli Immortali, io ci sono rimasto male... Dicendo che il calcio è la cosa più importante delle meno importanti. Poi il Sindaco ha insistito perché ha detto che li avrei aiutati a far squadra. Un signore aveva tenuto L'Equipe, che titolava "Usciti da un altro mondo". Sottolineava che pensavano che dopo il primo gol pensavano tornassimo indietro, ma nulla, idem dopo il secondo. Ci siamo fermati dopo il quarto. Si chiedevano da dove fossimo saltati fuori. Avevamo un Presidente che voleva fossimo Campioni del Mondo, io dissi che era frustrante e limitativo. Lui rispose che frustrante avrebbe capito, ma limitativo... Poi la UEFA ha sentenziato che siamo stati la squadra più grande della storia e ho chiamato Berlusconi per fargli capire cosa intendessi con limitativo. I giocatori che avevo erano già maturi. Può essere il calcio un esempio di vita, purtroppo abbiamo persone che non stanno onorando quello che era l'Italia dei romani".

- 23 set

Sacchi: "Ogni tanto si addormentava, una volta dovevamo andare ad Avellino e si era addormentato in sala VIP". Gullit: "Ero preoccupato... Per me l'Italia era un'avventura. All'inizio mi guardavano per come mi vestivo, dicevano che non sapevo vestirmi. Agli italiani piace tutto ciò che è bello. Vestiti, macchine, cucina, vacanze. Devo ringraziarli perché mi ha dato un'anima, stima, mi ha fatto crescere come uomo. Grazie Italia. Era facile imparare la lingua perché penso sia la più bella del mondo. Unica cosa negativa è che tutti si lamentano, tutto dramma. Però i ragazzi mi hanno anche insegnato a essere più serio. Non tutto è da ridere. Grazie di tutto questo".

- 23 set

Prende parola Tassotti: "Quell'episodio era significativo della squadra. Poteva fare anche a meno di qualche giocatore, anche di me per 80 minuti. Ero disperato per ciò che mi avrebbe detto Sacchi, ma quella è stata un'impresa, non tanto per il risultato, ma per aver dominato la partita. Sono passati tanti anni e siamo ancora a parlare di quella squadra. Giocava bene, merito nostro, ma anche della società e di Sacchi perché è stato un maestro. Avrei voluto incontrarlo prima, perché avevo 27/28 anni. Mi ha portato anche in Nazionale, gli devo molto e lo ringrazio ancora. Sono qui ad ascoltare queste cose che conosco bene, so quanto ci ha dato Ruud, i tre olandesi, ma so anche cosa gli hanno dato i ragazzi italiani. Quel Milan era formato da tanti italiani, si potevano avere solo due o tre stranieri. Però lo zoccolo duro era italiano. Ruud portò entusiasmo. Per noi era strano, come diceva, vederlo sorridere, giocare, andava al cinema il sabato e nessuno lo trovata. Per lui era normale".

- 23 set

Sulla finale con lo Steaua a Barcellona, Gullit: "Una doppietta in finale è un sogno. Già arrivarci è un viaggio. Se vinci 5-0 col Real Madrid è un segno. Se guardi la squadra negli occhi prima della partita vedi che vuole vincere. Non potevamo perdere. Anche perché i rumeni non potevano andare allo stadio e il Camp Nou era tutto rossonero. Avevamo la sensazione di poter vincere. Abbiamo aggredito dal primo fischio all'ultimo. Penso che non ho mai giocato una partita perfetta come quella. Tutto andava come i piani". Sacchi: "Col Napoli forse il primo anno". Gullit: "Sì, perché lì c'era Maradona ed era incredibile. Un'altra partita è con il Como, quando Tassotti ha preso il rosso dopo 15'".

- 23 set

Gullit: "La partita la vinci già nel tunnel. Se ti guardano senza che li guardi hanno paura, perché vogliono vedere quanto sei alto, grosso... Prima della partita con il Real Madrid però in stanza ero con Ancelotti, mi sveglio al mattino e c'era Ancelotti che mi accusava di aver dormito senza problemi. Io gli ho detto che eravamo meglio. Peccato che non abbiamo vinto, ma avevo fatto gol regolare. Tranne al Real Madrid, il Mister c'è stato e lo sa che gli fanno sempre favori. Io qualche volta posso dire di aver avuto fortuna con gli arbitri, poche volte, un paio. Tutte le altre volte abbiamo dovuto lavorare molto per avere risultati. Ci sono momenti di fortuna, ma il nostro spirito era particolare. Noi avevamo la sensazione che il mondo era contro di noi, eravamo sempre riservati. Anche con la stampa, non dire niente. Solo lavoro. Noi abbiamo vinto perché abbiamo lavorato, non per fortuna".

- 23 set

Sacchi: "Prima della partita col Real Madrid ho detto a Ruud di guardare tutti negli occhi nel tunnel e lui mi ha detto che solo uno l'aveva guardato".

- 23 set

Sulla partita col Real Madrid non vinta, ma che dà segnale, Sacchi: "Sì, ma ad alti livelli però di norma se meriti di vincere e non vinci poi paghi. Abbiamo fatto un gol con Gullit valido, ma annullato. Regolarissimo, non contro il Real Madrid però... C'è un video in cui Van Basten va a battere la rimessa laterale nella nostra metà campo e gioca palla in avanti per Baresi che era più avanti di Van Basten, poi Baresi la passa in avanti a Donadoni che era andato a prendere la posizione di centravanti. Poi sempre rasoterra la gioca per Gullit, distanza sempre di dieci metri. Gol e non capisco perché l'hanno annullato, forse volontariamente. Era successo spesso, come con la Stella Rossa. Perché era stato assurdo. Non ho mai messo le mani addosso a nessuno, a fine primo tempo ho messo le mani addosso all'arbitro. Non disse nulla all'inizio. In albergo c'erano i segretari della Stella Rossa con belle ragazze portate agli arbitri..."

- 23 set

Sacchi: "Galliani ci disse che avevano aperto le porte e che dove c'era una fila ce n'erano tre. E che ci sarebbero state 120 mila persone. Gullit si è alzato dicendo di non avere paura e chiedendo quante persone andavano a vedere la Stella Rossa di norma. Gli ha risposto 40 mila e Gullit ha detto che allora le altre 80 mila erano lì per vedere noi".

- 23 set

Sull'impresa del giorno dopo con tanti assenti, Gullit: "Quando non c'era la nebbia io ero in tribuna e nessuno ha visto il gol che hanno fatto. La nebbia è stata strana, sembrava un tappeto che scendeva, come se qualcuno l'avesse fatto di proposito. Hanno chiamato poi il mio fisioterapista, mi ha trattato. Sono andato in corridoio per correre per non farlo vedere agli avversari. Hanno detto che potessi giocare 40 minuti non di più. Prima della partita sono andato in campo a vedere l'erba, a guardare il pubblico e mi hanno gridato contro. Volevo sentire l'emozione che avevano. Mi davano più forza. Sono andato in panchina e al 40' circa Donadoni è caduto e ha ingoiato la lingua, stava morendo. I giocatori non potevano vederlo, erano spaventati. Era grave. Il dottore l'ha salvato togliendogli la lingua e l'hanno mandato in ospedale. Tra primo e secondo tempo eravamo scossi. Avevamo fatto un gol non dato, dentro di un metro. Poi, il momento più importante: durante l'intervallo abbiamo sentito lo speaker dire qualcosa e tutti hanno fischiato. Poi la traduzione diceva che Donadoni era in ospedale, ma che era fuori pericolo. Sentire che fischiavano questo ci ha dato una rabbia che ci siamo tutti alzati e volevamo giocare subito. Volevamo far vedere che avevamo più umiltà ed eravamo più forti. Giocavamo con una squadra molto forte, ma abbiamo giocato la partita della nostra vita. Abbiamo vinto con un rigore. A fine partita è venuto il presidente avversario per scusarsi dell'accaduto e noi abbiamo detto vaf... Questi episodi la gente non li sa, ma sono energia che ti può alzare nei momenti difficili".

- 23 set

Se sarebbe nato il Milan senza la nebbia di Belgrado, Sacchi: "Non lo so, è successo. È il Paese della fortuna e della sfortuna. Se non vincevamo quella vincevamo il campionato. Eravamo una grande squadra. Il primo anno 35 mila abbonati, il secondo 75 mila. Quando mai è successo. Si divertivano a vederli giocare. Se il calcio non dà emozioni non serve. Ci sono partite che se tossisci o sbadigli ti perdi l'unica emozione. Una volta senza Gullit, Donadoni e Ancelotti abbiamo fatto undici tiri nel primo tempo contro il Bayern Monaco, mai era successo nel calcio italiano. Gullit mi ha aiutato tantissimo, soprattutto il primo anno eccezionale. Ricordo che dovevamo giocare a Verona, partita importante. È stato 20 minuti a guardarsi la scarpa, era concentrato. Lo picchiavano in campo, tanto che a fine partita i difensori centrali mi hanno chiesto di cosa fosse fatto perché si erano fatti male loro a picchiarlo".

- 23 set

Sulle posizioni di Gullit, Sacchi: "Io non l'ho mai messo in difesa e a centrocampo. Aveva un fisico che poteva correre per due giorni, ma è vero: aveva acquisito una tecnica da gioco. Ma non tecnica da circo come in Italia, ma simulazione di partite. Quando c'erano le partite a calcio tennis non lo volevano. Né lui né Van Basten, i giocatori dicevano che erano scarsi. Mi ha dato davvero una grande mano perché le ha giocate quasi tutte. Noi avevamo un gioco, che ci permetteva che anche quando mancavano loro ci permetteva di fare risultato attraverso il merito. Poi può succedere che l'altra squadra abbia grandi individualità e non riesci. Noi avevamo giocatori di livello e gioco. Il gioco è paragonabile alla trama di un film. Anche se hai i migliori attori non sarà mai un cult se non hai una buona trama. Il gioco è importantissimo, vuol dire avere un'organizzazione, una comunicazione, una collaborazione. Sei vicino ad avere visioni automatizzate. Un giorno un giocatore mi disse che non improvvisava, ma lo faceva senza accorgersene. Non capitava mai che avessimo tre giocatori che attaccavano il primo palo. Sempre uno primo, uno secondo e uno dietro. Lavoravamo molto, ma quando io arrivai al Milan, con Pincolini, preparatore atletico, dissi di non lavorare tanto come al Parma perché altrimenti li avremmo uccisi. Partimmo col 20% in meno. Chi andava più piano al Parma ha fatto 300 metri in 12 minuti, altri 3 km".

- 23 set

Se qualcuno ha detto che Sacchi fosse pazzo in spogliatoio, Gullit: "Parlava ogni giorno con noi di calcio, ovunque, quando ci incontrava. All'inizio per me la lingua era difficile, nessuno parlava inglese. Solo forse Maldini e Filippo Galli, ma il Mister per spiegarmi le cose era difficile. Diceva sempre di andare e venire, 'come and go in zone dangerou'. Io non capivo cosa fare. La cosa importante era imparare la lingua. Ero sempre con gli italiani per capire la lingua. La lingua del calcio è facile. Io sono sempre positivo. Vedo le cose positive e prima della partita io durante la cena ridevo sempre e pensavano non fossi serio. Poi guardavano Sacchi per vedere cosa facessi. Poi durante la partita ero diverso, diventavo serio. Poi all'inizio non mi andava di correre, troppo correvamo, troppo veloce. Dopo tre giorni sono andato dal dottore per dire che non mi sentivo bene perché mi sentivo debole, senza andare dal Mister perché non avrebbe accettato. Il dottore mi ha detto di correre meno per il cuore. Loro mi guardavano mentre correvo poco e pensavano che io non avessi voglia. Ma io sapevo cosa fare. Dopo la corsa c'era un esercizio con la pallina, ma se lo fai quando sei stanchissimo non è facile. Pensavano di aver preso un giocatore scarso, ma con le gambe molli non sapevo palleggiare".

- 23 set

Sacchi: "Devo dire che erano tutti grandi persone, maturi. Noi credevamo nei valori. Avevamo una grande società con un grande progetto, di diventare campioni del Mondo disse Berlusconi e io dopo due mesi gli dissi che sognavamo solo io e lui e che non ce l'avremmo fatta se non avessimo coinvolto i giocatori. Non sapevamo dove saremmo arrivati, ma l'obiettivo era fare il massimo. Una vittoria senza merito non era una vittoria per noi. La bellezza del gioco non era senza senso, era bello per vincere. Qui non abbiamo capito ancora che se vuoi vincere e giochi meglio, è più facile vincere. In ogni cosa. Chi gioca meglio, vince. Poi a volte squadre che giocano bene non riescono a recuperare le squadre che hanno speso troppo. Io non volevo spendere tanto, anche se Galliani mi diceva fosse possibile. Io non volevo. Sono arrivati giocatori che hanno aiutato molto, Ruud per primo, poi Van Basten che ha giocato poco il primo anno. Poi è arrivato Rijkaard... Gli italiani hanno portato la conoscenza del calcio italiano, ma facendo cose diverse. Se attaccavamo in undici difendevamo in undici. Eravamo squadra per le distanze. Se ti allunghi non sei squadra, noi giocavamo in 30 metri".

- 23 set

Sul primo incontro tra loro, Gullit: "All'epoca l'Italia era il massimo dove giocare, per me era un'avventura. All'inizio ho dovuto cambiare un po' abitudini, se in allenamento qualcosa non mi piaceva lo dicevo al Mister sul campo e lui mi diceva di andare in ufficio. Lì ho capito che era diverso che in Olanda, dove ci attacchiamo sempre in campo. Dovevo cambiare il mio modo di essere in allenamento. Però volevo bene a Sacchi, io sono spirituale e sentivo che era uno spirito buono".

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