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Gullit: “Il Milan nel cuore ma fu un errore tornarci. Sacchi? Insopportabile”

Ruud Gullit, ex giocatore del Milan (credits: GETTY Images)

L'ex campione e numero dieci del Milan, Ruud Gullit, ha rilasciato un'interessante intervista a Fabio Fazio, nella trasmissione di Rai 3 "Che Tempo che fa"

Donato Bulfon

L'ex campione e numero dieci del Milan, Ruud Gullit, ha rilasciato un'interessante intervista a Fabio Fazio, nella trasmissione di Rai 3 "Che Tempo che fa". Ecco le sue parole.

AVER LASCIATO IL MILAN - "Con i rossoneri è stato un rapporto molto importante. Devo molto al Milan, mi ha dato la disciplina, ma poi sono andato alla Sampdoria perché i medici rossoneri pensavano fossi finito, che fossi sempre infortunato, non avendo più fiducia nelle mie ginocchia e in me. Questa delusione mi ha fatto andar via- La Sampdoria mi ha dato la libertà in campo. Con il Milan al massimo avevo segnato 9 reti a stagione, a Genova 15. Lì ho ricevuto felicità, libertà, anche libertà di vita, perché a Milano era difficile per me andare in giro, mentre a Genova andava abbastanza bene. Il gol segnato ai rossoneri? Ero frustratissimo, per questo esultai molto. Il Milan è nel mio cuore, ma loro mi avevano colpito dentro, ero stato male ad esser trattato così".

IL RITORNO - "Con il cuore sono poi tornato a Milano, ma è stato uno sbaglio, perchè ero diverso, potevo esprimermi in modo diverso e facevo molti più gol e molte più cose. Il Milan per me è stato il massimo, la Samp un posto speciale.

SACCHI - "La comunicazione tra noi era difficile, non conoscevamo le rispettive lingue. I primi tempi erano solo gesti. Lui mi diceva di andare ‘su e giù’, indicandomi che dovevo fare la spola fra centrocampo e area di rigore. Poi, una volta, voleva spiegarmi come fare una finta, fece un rapido movimento del collo e si stirò il muscolo del collo. Fu costretto a un mese di terapia. Urlava sempre, in continuazione. Ma ben presto perse la voce. Così si procurò un megafono, ma purtroppo urlava pure nel megafono, così la sua voce risultava ancora più insopportabile. Poi un’altra cosa che odiavamo era la sua abitudine a parlare coi calciatori prima delle partite. E non è tanto piacevole parlare di calcio alle 11 di sera. Così, quando eravamo in ritiro, se si sentivano dei passi nel corridoio, tutti spegnevano la luce e facevano finta di dormire".

MARADONA E MANDELA - "Diego oltre ad essere un calciatore era un leader. Poteva vincere le gare da solo, come ai Mondiali. Ed era anche una bravissima persona che però voleva essere amato da tutti. Quando i giornalisti lo criticavano lui ci stava male. Messi è un grande giocatore, ma è protetto, dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe. Mandela? Lui mi disse: 'Ora che sono presidente ho tanti amici, tu sei uno dei pochi che era mio amico anche quando ero in carcere'. E questo mi colpi tantissimo".

LO STILE - "Non mi piace il look che avevo trent'anni fa. Con quei baffi e quelle treccine sembravo un attore porno. Sono molto meglio adesso".

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