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Viola: “Dal Milan alla Georgia con i social. Mi sono allenato con …” | ESCLUSIVA PM

Jacopo Viola, ex portiere del Milan Primavera (getty images)
Jacopo Viola, ex portiere del Milan Primavera, ha parlato della sua parentesi rossonera e della sua carriera in esclusiva per noi
Fabio Barera Redattore 

Com'è possibile passare dal Milan Primavera, ad un passo dalla prima squadra di uno dei club più importanti del mondo, a trasferirsi per un mese e mezzo in Georgia grazie all'aiuto dei social? Il protagonista di questa storia è Jacopo Viola, che ha concesso una lunga intervista in esclusiva a noi di 'PianetaMilan.it', raccontandoci tutte le pieghe della sua interessantissima carriera, terminata con il ritiro nel 2022, a soli 26 anni. Ecco, dunque, tutte le sue parole.

Milan, Jacopo Viola: "Donnarumma straordinario già a 9 anni"

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Come mai sei nato in Lussemburgo e perché ti sei spostato in Italia? "Io sono nato in Lussemburgo perché mio papà lavorava in banca e ha avuto un'offerta di lavoro da una banca lussemburghese e ha vissuto lì sette anni. Dico 'ha vissuto' perché io sono nato dopo e ho vissuto solamente gli ultimi tre anni in cui i miei genitori sono stati lì. Poi abbiamo deciso di spostarci a Milano sempre per il lavoro di mio papà. Lavorando in banca, Milano è il centro".


In Italia sei entrato nel Settore Giovanile del Milan e hai raccontato in precedenza di aver condiviso un allenamento con Donnarumma. Ci puoi raccontare di lui? "Non so se lui se lo ricordi, ma io il primo allenamento me lo ricordo e sono rimasto abbastanza stupito. Me lo ricordo stranamente molto bene, indipendentemente dal fatto che poi lui è diventato quello che è. Un mio ex compagno di squadra, Cosimo La Ferrara, mi aveva parlato di questo portiere che sarebbe venuto a fare un allenamento. Io avevo 12 anni e mi stavo allenando con l'allora preparatore dei portieri Luigi Romano ed è venuto anche Donnarumma, che aveva tre anni in meno".

"A quel tempo c'erano tanti portieri della mia età che venivano in prova perché ne cercavano un altro per la squadra. Mi ricordo che la prima cosa che ho pensato è 'Questo ragazzo è bravo, non è male, ci sa fare'. Poi era già alto 1,80 se non ricordo male. Poi continuando vedo la faccia di Gigi Romano che è sorpreso e chiede al papà di Cosimo quanti anni avesse. Quando ha saputo che aveva nove anni ha detto 'Io non ho mai visto una cosa del genere'. Io ci sono rimasto male, perché anche a quell'età le vedi certe cose. E lui era straordinario già da subito".

"Calabria è sempre stato umile. Il paradosso di Milanello è che ..."

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In passato hai ricordato un aneddoto di Balotelli, ti va di raccontarlo?  "Di Balotelli ce ne sono vari, ma preferirei evitare di entrare nel dettaglio, perché io l'ho conosciuto e neanche molto bene, comunque io venivo aggregato ogni tanto per gli allenamenti con la prima squadra. Però mi ricordo svariati aneddoti sull'ambiente che si respirava a Milanello. Per esempio quando Stephan El Shaarawy si fermava a fare i tiri, quando veniva Gabriel. Non ne ho uno preciso di aneddoto, mi ricordo soltanto che quando ero in Primavera respiravi l'aria della Prima squadra, ma non realizzavi quanto fosse lontano quell'ambiente, nonostante tu sia praticamente fianco a fianco. C'è questo paradosso in cui ti senti arrivato in modo completamente sbagliato come mentalità".

Tu in Primavera hai condiviso lo spogliatoio con Calabria, Cristante, Petagna e tanti altri. Ti senti ancora con qualcuno o una volta che vai via del Milan i rapporti si chiudono? "Bellissima domanda. Io con Calabria ci ho giocato 9 anni insieme, quindi lo conosco abbastanza bene. Lui è un grande, è sempre stato l'underdog da quando è arrivato mister Inzaghi, che gli ha dato subito una chance per l'atteggiamento. Lui è sempre stato un ragazzo molto umile e dedito al lavoro, che correva più di tutti gli altri. Questo atteggiamento nel lungo termine lo ha premiato".

Esistono le amicizie nel calcio?  "Per quanto riguarda l'amicizia vera per me è un po' diverso. Nel calcio giochi con altre persone per interessi, ti lega l'interesse della squadra. Il mio amico più grande l'ho conosciuto al Milan ed è Riccardo Piscitelli. Ho mantenuto i rapporti con 3/4 persone, avendo comunque giocato 18 anni, ma per il resto no".

Milan, Jacopo Viola: "Inzaghi era ossessionato. Ho lasciato il Diavolo perché ..."

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Com'è Pippo Inzaghi da allenatore? E cosa significa avere in panchina uno che ha fatto la storia del Milan? "La prima volta che lo abbiamo visto eravamo a pranzo a Pinzolo, perché il primo giorno di ritiro forse lui non c'era. Quando l'ho visto con la tuta da allenatore per me è stato uno strano impatto. E mi ricordo che la stessa reazione l'ha avuta anche Alessandro Mastalli. Sicuramente si vedeva che era ossessionato da tutte le cose e quello che mi ha trasmesso di più è stata la mentalità".

Cosa ti ha lasciato?"I miei genitori mi dicevano: 'se vuoi giocare a calcio, devi mangiare bene e andare a letto presto alla sera', tutte quelle cose che si dicono ai ragazzi di 16 anni. Quando è arrivato Inzaghi questo si è moltiplicato per 800 e lì capisci davvero cosa vuol dire. Il più grande dono che ci ha fatto è stata la mentalità, anche perché comunque lui era molto carismatico".

Cosa non è andato con il Milan? Come mai non hai fatto il salto? "Io non ero un portiere con una grande struttura fisica e questo mi ha penalizzato durante tutto il Settore Giovanile. Io magari avevo delle qualità ottime che alla fine non si sono rivelate tali per i parametri tecnici del Milan. Volevano uno alto, reattivo, insomma avevano in mente uno stereotipo. Poi nell'ultimo anno di Primavera io mi sono rotto il crociato e hanno preso a metà anno Stefano Gori, che oggi gioca nel Monza. L'anno dopo l'alternativa era stare lì e fare la sua riserva oppure fare il percorso tra i professionisti. Non ci ho pensato due volte e sono andato a Siena. Alla fine si è rivelata una scelta giusta, perché poi è arrivato Donnarumma e ha giocato sempre lui".

Jacopo Viola: "Messias? Mai avrei pensato di vederlo in semifinale di Champions ..."

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Hai fatto una bella trafila nelle categorie minori tra Siena e Reggiana, ma mi soffermerei sul Gozzano, dove hai incontrato Messias. Avresti mai pensato che un ragazzo così sarebbe arrivato a giocare al Milan e a segnare in Champions contro l'Atletico? "No, non lo avrei mai pensato. Molto sinceramente certe cose le vedi e c'erano un altro paio di giocatori del Gozzano che avrebbero potuto giocare in Serie A. E io di lui l'ho pensato subito, già dalla prima settimana che l'ho visto giocare. Ma non avrei proprio mai pensato che potesse giocare una semifinale di Champions. Quando ho visto il derby Milan-Inter in tv tre anni dopo che ha giocato con me al Gozzano ho pensato che il calcio è veramente incredibile. Nel senso che ero contento per lui, però è pazzesco".

Jacopo Viola: "Ho sentito il CT del Lussemburgo quando ero al Milan, ma ..."

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Hai mai avuto contatti con la Nazionale del Lussemburgo? "La risposta breve è sì. Contatti ne abbiamo avuti quando ero ancora al Milan. Quando ero in Primavera mi è arrivata una chiamata dall'allora CT, Luc Holtz. Lui mi aveva chiamato, ma io di inglese capivo zero e l'accento era pesante, quindi non c'è stata una grandissima comunicazione tra noi, abbiamo chiacchierato cinque o dieci minuti. Poi sapevo che c'era questo interesse per uno stage, ma sarei dovuto comunque passare al professionismo. Questo perché in Lussemburgo, anche se nasci lì, non puoi avere una cittadinanza se non ci sono paletti precisi. Devi parlare francese, devi aver vissuto un certo numero di anni lì. Dovevo acquisirla quindi per meriti sportivi, e per farla approvare al governo era necessario il passaggio al professionismo".

Dopo il Gozzano sei rimasto senza squadra e ti sei affidato ai social. Ci racconti le tue esperienze in Norvegia e in Georgia? "Sono state veramente pazzesche e ci sono arrivato attraverso i social. Con Riccardo Piscitelli ho iniziato a fare dei video, tutti i giorni. Avevo l'obiettivo di fare cose strane, ma anche allenamenti molto spinti da portiere, per finire su 433. Ho pensato 'Se sono bravo e faccio dei video fatti bene, su 10 milioni di visualizzazioni su 433 ci sarà qualche procuratore che mi scrive in chat'. Ce ne sono stati svariati. Uno era un ragazzo a inizio carriera e si è messo lì tutto il giorno a contattare squadre su squadre per me, gli sarò sempre grato, e alla fine mi ha fatto arrivare in Norvegia, ad Oslo. E l'altro in Georgia, con un'agenzia che mi ha colto".

Com'è andata in Norvegia? "E' andata molto bene, nel senso che è stata un'esperienza bellissima, anche se faceva molto freddo. Sono stato lì solo due giorni, perché l'allenatore dei portieri mi ha visto in spogliatoio che ero alto 1,85 e già lì nei suoi occhi ero segnato ancora prima di entrare in campo. E poi c'erano dei problemi burocratici che hanno impedito la mia permanenza lì".

Mentre in Georgia? "Lì ho rischiato di firmare, ci sono rimasto un mese e mezzo. Sono andato in una squadra di una città da brividi, un posto orribile. La società si chiama Dila Gori ed era anche a posto, ma il contorno era abbastanza freddo. Allora sono andato alla Lokomotiv Tbilisi, che era una società opposta a livello di ambiente, con una città diversificata e più stimolante. Lì sono stato tre giorni, c'era anche un portiere che ora è arrivato ad alti livelli, però non parlavo la lingua e il reale problema era burocratico. Dovevano firmare un portiere in breve tempo ed essendo io un transfer burocratico, anche se ero svincolato, ci avrebbero messo troppo tempo. Alla fine non si è fatto niente, ma son stato molto contento perché ci sono arrivato con le mie gambe".

"Vi racconto come sono finito negli Stati Uniti"

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Il passaggio negli Stati Uniti come è avvenuto?  "Bella domanda. Negli Stati Uniti ci sono andato perché dopo la Georgia e tutto quanto successo in precedenza sono rimasto svincolato. E mi sono detto che dovevo trovare un modo per giocare a calcio da qualche parte. Io comunque ho poche statistiche, ma ho un Settore Giovanile nel Milan alle spalle e altre esperienze positive. Non mi avrebbe preso nessuno in quel momento e avevo comunque 23 anni, per cui non ero di primissimo pelo".

"Mi sono chiesto come fossero messi là a livello di portieri e ho visto che potevo benissimo starci, per cui ho pensato di fare il percorso attraverso il college. Ho finito l'università qui, dove ho fatto Telematica, ho fatto tutto in fretta e furia e ho avuto fortuna, perché ogni giorno che passava rischiavo di non poter andare. Alla fine sono andato e sono rimasto là un anno e mezzo".

L'esperienza in Georgia e questa negli USA ti hanno reso più uomo? "Forse sono diventato uomo prima se l'osservazione riguarda più la crescita personale. E succede nel momento in cui tu hai difficoltà grosse perché passi da un posto come Milanello, in cui ti sembra di essere in un altro pianeta e sei ad un tiro di schioppo dalla Prima Squadra, a Dila Gori, ad essere svincolato. Mi ricordo che scavalcavo il muretto del campo per allenarmi senza farmi beccare dal custode. Quelle difficoltà mi hanno permesso di fare lo step che alla fine mi ha portato a decisioni più consapevoli".

Jacopo Viola: "Sarò sempre grato al Milan. Ho imparato la disciplina"

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Come mai hai scelto di ritirarti? E cosa fai ora? "Io sono sempre stato un ragazzo molto disciplinato, sempre focalizzato sul calcio, molto determinato, se c'è qualcosa che voglio la inseguo fino alla fine. Questo l'ho imparato al Milan e sarò sempre grato per questa esperienza. Poi quando sono andato in America, a livello culturale ho visto come è percepito lo sport e il calcio. A livello universitario lì c'è un ambiente più stimolante che in Italia e ho scoperto cose a cui non sapevo di essere interessato. Nel 2022, dopo che ho finito di giocare al college, mi ha chiamato una squadra di Serie B americana. Lì mi sono chiesto cosa volessi veramente e ho pensato fosse arrivato il momento di appendere le scarpette al chiodo. E così ho fatto".

E cosa fai ora? "Quando sono andato in America, contestualmente, ho avuto l'opportunità di guadagnare perché un'azienda americana mi ha preso in stage come Social Media Strategist. Dopo di che mi hanno offerto un posto di lavoro part-time e lì ho capito come lavorare con i social, cosa fare e cosa non fare per attirare l'attenzione. Hanno subito fatto tante visualizzazioni, io ho imparato a fare altre cose e ho cominciato a fare consulting ad una ventina di brand. Poi ho pensato bene di provare a fare una start-up. Vorrei andare in America a vivere".

"Algoritmo? La differenza la fa sempre il valore della persona"

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Cosa ne pensi dell'utilizzo dell'algoritmo per cercare i giocatori sul mercato, come il Milan? "Ha senso e non ha senso. Se tu hai 10.000 giocatori e devi scegliere, l'algoritmo sicuramente fa da scrematura e te ne dà 100 che ti danno sicurezza. Su quei 100 per me la differenza la fa tutt'altro. Io ho avuto tante esperienze e ho capito che l'unica cosa che può fare la differenza è la testa, come nel caso di Calabria, Messias, Vicario e tanti altri. La testa e il contesto in cui cresci, i valori che hai. Vale per il calcio come per le aziende: il gruppo viene prima del singolo, se uno rema dall'altra parte, deve essere mandato subito via". LEGGI ANCHECalciomercato, il Milan torna su Brassier: c'è un rischio da evitare >>>

 

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