Imparare, com'è giusto che sia, e aiutare. Queste dichiarazioni non fanno altro che creare ulteriore confusione sull'effettivo ruolo di Zlatan Ibrahimovic. Più che dirigente, lo svedese appare come un mental coach, un supporto emotivo e morale per una dirigenza frastagliata e senza alcuna gerarchia. Ibra vuole portare risultati, scrivere la storia, ma, come evidenziato da lui stesso, è un uomo di RedBird, lavora per RedBird. La domanda, dunque, sorge spontanea: ma Ibra vuole far vincere il Milan o RedBird?
Oltre il personaggio
—Passiamo alla questione "personaggio". Attorno a Ibrahimovic, nel corso della sua lunga carriera, si è costruito un palcoscenico sul quale, puntualmente, lo svedese sale per far andare avanti un macchietta comica ormai monotona. Lui è il boss, lui è Dio, lui è il re, lui è colui che decide, lui è colui che non deve rispondere alle direttive di nessuno. Dopo aver potuto osservare il primo vero anno da "dirigente", possiamo dirlo: questa storiella può anche chiudersi qui.
Ibrahimovic non è più un calciatore, non fa più la differenza in campo né tantomeno nello spogliatoio. Possiamo dibattere sul suo carattere, sui suoi modi di fare, sulla sua comunicazione, ma ora Zlatan è un rappresentante, non indossa più gli scarpini e deve ragionare attraverso una mentalità e una visione completamente diversa. Alcune sue uscite, di conseguenza, suonano male, vengono apprezzate meno e, soprattutto, creano alte aspettative (basti rivedersi le conferenza con lui presente da agosto a dicembre). Ibrahimovic non è il boss, come lui stesso ha voluto ricordare, e, che tu sia pagato da RedBird o dal Milan, urge un cambiamento d'immagine.
Dove sta la mentalità vincente?
—Concludiamo, ovviamente, con la grande e onnipresente mentalità vincente. Abbiamo perso il conto di quante volte abbia ripetuto questo concetto. Ora, però, i tifosi non ne hanno più e si chiedono dove sia questa tanto conclamata mentalità. Ibrahimovic parla di una nuova mentalità portata da RedBird e Cardinale, della "nuova scuola", di limiti che non esistono e conclude con un assurdo "noi siamo il rock and roll".
Sono parole che, detto francamente, lasciano basiti. Il Milan, in questo preciso momento, è solo un vecchio ricordo di sé stesso. Non sembra esserci programmazione, non sembrano esserci tattiche ben precise, non sembra esserci una chiara scala dirigenziale. La squadra, e i conseguenti risultati, rappresentano lo specchio del club. Magari, Ibrahimovic ha ragione e tra 5/10 anni i rossoneri torneranno sul tetto d'Europa e del mondo ma, ora come ora, il Milan è solo una grande macchina economica che va forte negli Stati Uniti.
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