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INTERVISTE

Taveggia, volto nascosto dell’epopea rossonera: “Vi spiego cos’era il Milan”

Taveggia, volto nascosto dell’epopea rossonera: “Vi spiego cos’era il Milan” - immagine 1
Paolo Taveggia, milanese doc con sangue interista nelle vene ma una vita al Milan, si racconta ai microfoni del Corriere dello Sport
Alessia Scataglini
Alessia Scataglini

Paolo Taveggia, milanese doc con sangue interista nelle vene, ma protagonista – per destino e per scelte – di una carriera fortemente tinta di rossonero, ha raccontato la sua storia ai microfoni del Corriere dello Sport. In una lunga intervista, l’ex dirigente ha ripercorso i momenti più significativi vissuti all’interno dell’epopea del Grande Milan targato Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, svelando retroscena, aneddoti e dinamiche di un’epoca irripetibile del calcio italiano. Le sue parole:

Taveggia si racconta: “Vi svelo il vero Milan di Berlusconi”

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«Berlusconi è l’uomo che mi ha dato quello che avrei potuto desiderare, gli devo tutto» me l’avrà ripetuto una mezza dozzina di volte. «Uscito dalla Bocconi, due anni in banca, il suicidio alle porte, anzi allo sportello, la necessità di cambiare vita, settore, pubblicità. Televisiva, le private. Insomma, te la faccio breve».


Berlusconi non ti molla:

Berlusconi mi dice di andare in Uruguay per organizzare la diretta della Copa de Oro, la prima di una privata. Parto con Giuseppe Albertini, che è la storia della telecronaca, e un tecnico. Proprio in quell’occasione Ancelotti esordisce in Nazionale».

«Chiede a me e a Marcello Dell’Utri di preparare “il più bel torneo di calcio al mondo da trasmettere su Canale 5”. Nasce il Mundialito, anno 1981. Lo replichiamo nell’83, l’edizione migliore, e nell’87, quando da un anno sono il direttore organizzativo del Milan, entrato fin dal primo giorno. Braida è il direttore sportivo, Ramaccioni il team manager, Galliani e Giancarlo Foscale, cugino di Berlusconi, i massimi dirigenti. Galliani si occupa della parte sportiva, Foscale è l’amministrativo. Dall’84 fino all’ingresso nel Milan avevo lavorato nel mondo della boxe con Branchini. Ricordo che quando dissi a Giovanni, per me un fratello, che sarei andato al Milan ci rimase malissimo. Lo presi in un momento particolarmente doloroso perché era appena morto un suo pugile, Salvatore La Serra. Nello stesso periodo ricevetti un’offerta anche dalla Dorna che entrava nel calcio. Rifiutai e passai il contatto proprio a lui, che decise di lasciare la boxe per fare l’agente».

9 Novembre 1988, Belgrado:

«Belgrado. All’andata 1-1, gol di Virdis. Andiamo al Marakàna, loro sono fortissimi. Stojkovic, Savicevic, Sabanadzovic, Ivanovic. Dopo il primo tempo capisco che non la vinciamo mai, lo stadio è un inferno. All’improvviso cala una nebbia fittissima e io penso: vuoi vedere che abbiamo acquistato delle macchine per produrla? Non si vede un cazzo. Ramaccioni mi costringe ad andare dal guardalinee per dirgli che la partita deve essere sospesa. Con la mia faccia di culo comincio a stalkerarlo. A un certo punto l’arbitro, Dieter Pauly, tedesco, decide di sospenderla chiarendo tuttavia che non si tratta di un rinvio. “Dobbiamo aspettare che si alzi”. Gli spogliatoi sono tre casette, una per gli ospiti, una più grande per la Stella Rossa e la terza per la terna e il delegato Uefa. Mi fermo nel giardinetto davanti alla nostra, in dieci minuti fumo quattro sigarette. Faccio l’errore di aprire la porta e vedo che i giocatori sono già tutti sotto la doccia, le maglie sporche buttate per terra, avevamo solo quelle. Il terrore. E adesso?».

«Busso alla porta di Pauly e in un inglese stentato, volutamente stentato, confesso che mi sono sbagliato, non avevo capito e ho detto alla squadra che la partita è stata rinviata. La mia carriera nel calcio è finita, aggiungo, perderò il lavoro. Sembro John Belushi che si scusa con Carrie Fisher nei Blues Brothers».

«Mi guarda, ci pensa su un istante, dà un’occhiata fuori e la rinvia alle 13 del giorno dopo. Avverto tutti, sollevato, e mi metto a organizzare il pernottamento dei tifosi che hanno deciso di fermarsi. Rientrato in hotel, l’adrenalina a mille, non si dorme, chiedo a Guido Susini di accompagnarmi in centro. Ci facciamo dare l’indirizzo del pub più prestigioso di Belgrado e ci fermiamo davanti alla porta d’ingresso per un’altra sigaretta. Passano pochi minuti e vediamo arrivare una limousine tutta bianca, una Mercedes. Scendono tre ragazze pazzesche, l’arbitro e i guardalinee accompagnati da un dirigente della Stella Rossa. Incrocio lo sguardo di Pauly e lo saluto: ti ho visto e tu hai visto me. Giovedì».

Taveggia svela il Milan di Berlusconi: dalle emozioni a Belgrado alla scoperta di Gullit

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La partita si rigioca: «E Pauly ci annulla un gol col pallone dentro di un metro e mezzo, andiamo ai rigori. Te la senti, non te la senti, tiri tu, tiro io, quello che finge di telefonare a casa alla fidanzata, insomma il quinto ad accettare è Cappellini, ha appena 17 anni. Savicevic sbaglia, se segniamo la partita è nostra. Vedo che al posto di Cappellini si presenta sul dischetto Rijkaard che non era nella lista dei cinque. Gol. Raggiungo Frank, gli faccio i complimenti e chiedo come mai all’ultimo abbia deciso di tirare, non essendo in lista. “Ho visto la faccia del ragazzo” mi fa. “Se avesse sbagliato la sua carriera sarebbe finita lì, la mia no”.

Ha poi aggiunto: «Mercoledì sera avevo chiamato Galliani - era rimasto a Milano - per dirgli che con Virdis espulso e Ancelotti che aveva preso il secondo giallo avevamo bisogno di recuperare Gullit che non stava bene. Ruud mi aveva spiegato che sarebbe sceso in campo solo se fosse arrivato da Amsterdam il suo preparatore Ted Troost.

Con l’aereo privato messo a disposizione da Berlusconi. Galliani volò in Olanda, prese Troost e lo portò a Belgrado. Questo era il Milan».

«Un elenco di altre cose in ordine sparso. Al Milan mi danno subito la scrivania di Rivera. Riesco a far invitare la squadra al Gamper dove Berlusconi scopre Gullit. Ruud arriva a Milano anche grazie a mia moglie. La finale di Barcellona, la marea rossonera, e io recupero 60mila biglietti comprandoli ovunque. Di ventimila era la nostra disponibilità».

Altri aneddoti: "«A Napoli vinciamo lo scudetto ma ci riempiono di sale. Dopo l’omicidio di Borsellino Berlusconi mi chiede di sospendere la presentazione del Milan e Tuttosport ci definisce omertosi. Galliani vuole licenziare Tarozzi dell’ufficio stampa per i biglietti omaggio dati a Tuttosport, evidente il riferimento a quell’articolo, e Marco viene salvato da Confalonieri. E poi i palloni dimenticati nella finale di Vienna e la cortesia di Eriksson, la finale persa col Marsiglia a Monaco e il lavoro per smascherare Tapie, la squalifica dopo Marsiglia e Galliani che licenzia Cantamessa. All’Inter le urla di Moratti per Baggio, promesso da Moggi e finito al Milan. Zanetti e la notte nella quale si aggiunge Rambert, il caso Kanu e la mancata visita medica, Paul Ince che convinco inseguendolo nella cucina di casa sua. I tre amministratori delegati, Moretti, Ghelfi e Visconti, che non andavano d’accordo. Ottavio Bianchi e la guerra ai dirigenti fin dalla prima partita a Firenze, il divieto di presentarci ad Appiano, la scelta di Hodgson fatta da Facchetti e le promesse a Tabarez, Ancelotti e Capello, tutti e tre usciti da casa Moratti convinti di essere il futuro allenatore dell’Inter. Le telefonate mattutine di Facchetti che incolpava di tutto Mazzola».

 

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