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INTERVISTE

Shevchenko: “Non siamo contro il popolo russo. Siamo contro la guerra”

Intervista Shevchenko CorSera

Andriy Shevchenko, ex attaccante del Milan, ha parlato del conflitto nella sua Ucraina, ma non solo, ai microfoni del 'Corriere della Sera'

Daniele Triolo

Andriy Shevchenko, ex attaccante del Milan, ha rilasciato una lunga e toccante intervista ai microfoni del 'Corriere della Sera' oggi in edicola. Queste le sue dichiarazioni più interessanti.

Sulla sua conoscenza del russo: «Certo che parlo russo, me l’hanno insegnato a scuola. In Ucraina si può parlare russo liberamente. Noi non siamo indiscriminatamente contro il popolo russo; siamo contro coloro che sostengono la guerra. Sappiamo distinguere tra un popolo e un regime. So per certo che anche in Russia molti sono contrari alla guerra».

Sullo stato di salute dei suoi famigliari: «Bene, per ora. Li sento più volte al giorno. Mia madre Lubov e mia sorella Elena sono in casa, a venticinque minuti dal centro di Kyiv. Adesso le hanno raggiunte altri parenti, tra cui mia zia Lida, che ha passato quattro giorni chiusa in cantina. Abita vicino a un aeroporto, il suo quartiere è stato bombardato».

Sul conflitto in Ucraina: «Non è un conflitto, non è un’operazione speciale, come la vogliono vendere. È un’aggressione. Un crimine contro i civili. Nessuno ci ha voluto credere, sino all’ultimo. Non potevamo immaginare che la Russia ci avrebbe fatto questo. Ci pareva impossibile».

Sulla possibilità che lui possa tornare in Ucraina: «Ci ho pensato tantissime volte. Ma è impossibile. Hanno chiuso subito tutto. Gli aeroporti sono stati bombardati per primi. Quindi ho deciso di difendere il mio Paese come posso. Raccontando chi siamo, quanto stiamo soffrendo. Aiutando le vittime e i rifugiati. La risposta dell’Italia è stata eccezionale».

Su cosa stanno facendo gli italiani per l'Ucraina: «Attraverso GoFoundMe abbiamo raccolto 343.764 euro per la Croce Rossa: traumakit, medicine, viveri. Altri fondi sono raccolti dalla Fondazione Milan, che ha messo in vendita la riproduzione delle maglie che indossavamo a Manchester quando nel 2003 vincemmo la Champions. Mi ha chiamato il mio amico Giorgio Armani, che si è mobilitato di persona. Ho parlato con il Sindaco di Firenze e con il Sindaco di Milano. Spero di poter annunciare presto un’iniziativa speciale ...».

Sull'iniziativa: «Milano e l’Italia sono la mia seconda patria. Milano è una città particolarmente generosa. Sono certo che potrà e vorrà accogliere molti ucraini che fuggono dalla guerra. Saranno quasi tutti bambini, donne e anziani, perché gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il Paese».

Su Volodymyr Zelenskyy: «Si sta comportando con grande coraggio. Ha riunito gli ucraini attorno a lui».

Sulle volontà degli ucraini: «Noi vogliamo la pace. Ma arrenderci in questo momento significherebbe perdere la libertà. Noi ci stiamo battendo e ci batteremo per la nostra libertà e i nostri diritti. Vogliamo avvicinarci all’Europa. Non abbiamo attaccato nessuno, ci stiamo solo difendendo».

Sull'opportunità di fornire armi all'Ucraina: «È giusto tutto quello che serve a difendere il nostro Paese dagli aggressori. Le democrazie sono al nostro fianco, e questo è molto importante per noi. Anche le sanzioni alla Russia sono molto importanti, per fare pressione e trovare una soluzione diplomatica».

Sull'esclusione della Russia dai Mondiali di calcio in Qatar: «Sì, è giusto! Finché dura la guerra, gli atleti russi non possono gareggiare. Prego ogni giorno perché la guerra finisca».

Sugli amici della sua giovinezza quasi tutti morti: «Purtroppo è così. Gli altri li hanno uccisi il crimine, la droga, l’alcol. Sono stati anni terribili, quelli della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Tanti cercavano scorciatoie che non li hanno portati da nessuna parte. Una volta anch’io fui coinvolto in una rissa, tornai a casa tutto pesto. Da allora ho orrore della violenza».

Andriy Shevchenko AC Milan

Sull'esplosione di Chernobyl del 1986: «Portai a casa il mio pallone tutto accartocciato, quasi sciolto: era radioattivo, mia madre lo bruciò nella bacinella. Arrivarono pullman da tutta l’Urss per portare via i bambini. Io finii sul Mare d’Azov, a 1.500 chilometri da casa. In un campo estivo dove dormivamo in 7 per stanza».

Sull'indipendenza dell'Ucraina nel 1991: «Ero a Mosca per un torneo. Viaggiammo in treno tutta la notte. Arrivammo il mattino in una Kyiv piena di bandiere gialle e azzurre».

Sui rapporti dell'epoca con i russi: «Eravamo un unico Paese. Ora questa guerra sta cancellando tutto un passato comune: nella cultura, e anche nello sport. I grandi calciatori sovietici erano ucraini: Oleg Blochin, Oleksandr Zavarov, Oleksij Mychajlycenko, Ihor Belanov ... Anche Serhij Bubka è ucraino, è il Presidente del nostro Comitato olimpico».

Su Valerij Lobanovskij: «Era stato nell’Armata Rossa. Ma noi lo chiamavamo con il patronimico, in segno di rispetto: Valerij Vasil’evic. Impostò un programma militare: sveglia alle 6:45, alle 7:00 corsa all’aperto anche con dieci gradi sotto zero, poi palestra con varie stazioni di lavoro, tipo Via Crucis. Alle 10 colazione, quindi primo allenamento di calcio, doccia, riposino fino alle 16, poi altre due ore di allenamento. Fu il primo a studiare le partite al computer, ma considerava il dribbling fondamentale, organizzava di continuo duelli uno contro uno. La formazione era decisa dalla salita della morte».

Sulla salita della morte: «Un tracciato con il 16% di pendenza: correvamo su e giù fino a quando qualcuno non cominciava a vomitare. Giocava chi non aveva vomitato, o comunque vomitato di meno».

Sulle sue partite con l'Ucraina contro la Russia: «La prima volta vincemmo 3-2 in casa, la seconda pareggiammo a Mosca 1-1, con un mio gol su punizione all’ultimo minuto. Era il 1999 e il clima era già tesissimo. La sera prima avevamo dormito in ambasciata, per la nostra sicurezza».

Sul suo arrivo al Milan nel 1999: «Conoscevo già Milano perché ci ero stato da ragazzo, con le giovanili. Ci portarono a visitare il Castello, il Duomo, poi a pranzo in Galleria, infine a San Siro. Da allora ho sognato di tornare in quello stadio fantastico».

Sulle sue sfide contro Paolo Maldini ed Alessandro Costacurta: « Maldini non mi fece toccare palla. Costacurta mi diceva strane cose in inglese che capivo poco, tipo “Ti meniamo ...”. Diventammo molto amici. Anche con Demetrio Albertini e Massimo Ambrosini, che era il mio compagno di stanza».

Su possibili dialoghi con Silvio Berlusconi su Vladimir Putin: «Mai. Il Presidente con me è sempre stato delizioso. Non dimentico che mandò un aereo a prendere mio padre a Kyiv per farlo operare al cuore in Italia».

Sulla storia con il Milan: «Una storia straordinaria, ma in questo momento ho la testa da un’altra parte. Tutti i miei pensieri sono per il mio Paese. Chiedo all’Italia di fare di tutto per accogliere chi fugge, e per trovare una soluzione che metta fine al massacro. Prego per questo».

Su come immagina l'aldilà: «Non so cosa ci sia dopo la morte. So che l’importante è che, quando te ne vai, la gente sia dispiaciuta per te. Spero di avere una buona vita, e che mia moglie e i miei figli — perché voglio andarmene per primo — siano dispiaciuti per me. Ma ora le mie preghiere sono per la salvezza di mia madre, dei miei cari, e del popolo ucraino. Che proprio non si merita la tragedia che sta subendo. Oggi tocca a noi; ma non escludo che, se Putin non sarà fermato, domani possa toccare ad altri Paesi europei». Attacco, Milan pronto al gran colpo in Serie A: le news di mercato >>>

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