Sull'assenza dei brasiliani in rossonero: "Ho trovato Emerson solo. Quando c'ero io ne eravamo in 8, oggi c'è solo un brasiliano. Il calcio sta cambiando, molto".
Su Rafael Leao: "Leao è un personaggio (ride, ndr). Io quando sono arrivato all'età loro io ero piccolissimo. Loro sono tutti alti. Sono troppo grandi, quindi Leao per me ho sempre avuto stima di lui, tifo per lui. Lui ha tutta la possibilità di portare il Milan in alto. Quindi sarò sempre lì a sostenerlo e speriamo che faccia ancora tanti gol per il Milan e lo faccia vincere".
Sul ritorno a San Siro: "Mi hanno fatto entrare nel campo. Ti viene voglia di piangere. Poi i tifosi che ti urlano, ti chiedono una foto. Avere i miei genitori di fianco a me, perché loro sono rimasti un mese con me poi sono andati via. Poi loro sono tornati con me dopo 12 anni al San Siro. Quindi sai, per loro è stato bellissimo. A parte il freddo, che loro non sentivano più i piedi, però è stato bellissimo".
Sulla voglia di tornare a giocare: "Ti dico una cosa. Ho chiesto un consiglio a Kakà: "Ricky cosa hai fatto tu quando hai smesso di giocare?". Lui mi ha detto: "Così sono a posto". Io, lì, adesso, perché a volte non voglio essere quello che vuole tornare per forza al Milan, però una voglia di mettere la maglia, scendere in campo e giocare...".
Sulla possibilità di tornare in campo: "Mi devo rimettere in forma. La voglia c'è, vediamo...".
Sul primo gol con la maglia del Milan: "A me piaceva sol giocatore. Entrare a San Siro è stato bellissimo, poi segnare... Io piangevo quando ho fatto il primo gol in rossonero. Quello contro il Napoli, perché okay, stavo facendo un gol, ma non capivo bene dov'ero. Piangevo perché avevo fatto un gol. Io ho sempre voluto fare quello che ho imparato".
Sui paragoni con altri grandi campioni: "Quando io sono arrivato dal Brasile tutti dicevano "Guarda il nuovo Ronaldo". Ma le mie caratteristiche erano un po' uguali. Però io ero io. Io capisco oggi, però tanto tempo fa no. Ero incosciente".
Sulla derivazione del soprannome Papero: "Io vivevo a Pato Branco. Il mio soprannome deriva lì. Papero è una traduzione del Pato. Io ero più giovane, mi chiamavano Alexandre Paranà. La regione della mia città, però c'era un ragazzo più grande della mia stessa squadra, dove giocavo io. Lui era Alessandro Paranà. Loro vennero da me, mi dissero che ero più giovane e che dovevo cambiare nome. Io acconsentii, mi chiesero da dove venissi, e mi chiamarono Pato. Però mi piace, è rimasto. Oggi faccio delle costruzioni in Brasile con la mia società, la Duck. È rimasto allora il nome Pato".
Sulla chiamata del Milan: "Quando ero giovane io andavano con la Nazionale brasiliana qualche volta. Oltre al Milan c'erano anche altri club. Juventus, Real Madrid, Barcellona, Ajax, PSV. L'Inter anche. Andai al Mondiale in Canada con la Sub21 brasiliana e prima di una partita ci dissero che c'era Ancelotti a vedere la partita. Io ho detto: "Ah, okay". Magari non so se era vero, ma lo stimolo di fare di più lo avevo avuto. Feci bene il Mondiale, ma venimmo eliminati praticamente subito. Poi sono tornato in Brasile e l'allenatore della prima squadra dell'Internacional mi chiamò per fare una partita. Andò benissimo e pretese che rimassi. Andammo a giocare il Mondiale per club, vincemmo, ed io sapevo che c'era il Milan davvero. Dissi che era là che volevo andare. Perché c'erano tutti. Ronaldo, Maldini, Nesta, Pirlo, Gattuso, Cafù, tutti, Kakà, Sheva, Pippo (Inzaghi, ndr). Io volevo andare là perché volevo giocare con i super campioni. Quindi il mio agente venne ma io gli dissi che volevo andare lì. "Io gioco alla play e voglio andare lì" (ride, ndr). Non sapevo l'importanza che era. Volevo solo giocare con loro. Io non capivo come era il Milan, io volevo andare lì e basta".
Sul retroscena con Shevchenko: "Arrivò Sheva con la maglia "la numero 7" e mi disse "Questa maglia è tua". E io non capivo l'importanza. È stato bellissimo, la scelta migliore nel momento giusto".
Sulla prima persona che ha conosciuto al Milan: "È stata Ariedo Braida. Poi il dottore (Galliani, ndr). Sono arrivato in aeroporto, poi ho fatto due ore a Forte dei Marmi. Da lì siamo andati in ospedale per fare le visite mediche. Poi Milanello".
Su Ibrahimovic: "Ibra, ci siamo incontrati ieri, non è cambiato per nulla. Per me è un uomo molto giusto per il Milan. È bravissimo. Era una persona che tirava su la squadra, grazie anche al suo modo un po' più aggressivo. Ma è un ragazzo gentilissimo, molto amico, è gentile. Quindi penso che lui può aiutare il Milan. Però sai, a volte, tu sei una squadra che ha tanti titoli, la pressione, basta dargli tempo. Ibrahimovic è sempre stato così. Poi oggi ho anche messo una foto sul mio Instagram. È divertente, sorridente, però lui è anche un uomo che nel suo ruolo deve essere un po' più serio. Però lui è molto educato, di cuore. Ha salutato tutta la mia famiglia quando siamo venuti a Milanello. Capisco il ruolo che ha oggi, e quindi deve fare quello, ma dentro di lui ha un cuore molto grande".
Sul famosissimo litigio Ibrahimovic-Onyewu: "Hai presente il Colosseo? In quel momento sembrava quello. È stata brutta (ride, ndr). Non è stata bella perché menomale che eravamo tutti lì, perché poteva succedere un caos. Ed è successo. Perché loro sono forti, grossi, ed eravamo tutti lì, erano difficili da superare. Ibra fa arti marziali, mentre Onyewu era bello grosso. Però sì, è stata brutta. Se posso dire chi picchiava chi era dura. Perché Onyewu aveva preso Ibra, Ibra aveva preso Onyewu, quindi non è stata facile. Poi menomale che Rino, insieme agli altri, hanno separato tutti. È stata una bella gara".
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