Gli inizi all'Inter: "Mi era piaciuto tutto di quell’ambiente, avevo sentito il cuore battere quando Anselmo, il magazziniere, mi aveva consegnato la borsa. Scarpe a sei tacchetti, scarpe con i tacchetti di gomma, scarpe da ginnastica: alla Settalese ne avevo un paio e dovevano bastare per tutto. E poi la tuta, quella maglia bella pesante. Il magazziniere mi fa: "Mi raccomando, ti deve durare tutto l’anno". "Certo, ci mancherebbe", ed ero già corso dagli amici per fargli vedere tutto. Primo allenatore, Arcadio Venturi: segno due gol nelle prime due partite e mi fa "Ok, davanti ci sai fare, adesso impara a marcare". A Leffe con i Giovanissimi, finale vinta ai rigori contro il Milan, mi danno la coppa per il miglior giovane, ma prima devo fargli vedere la carta d’identità due volte: avevo già i baffi, non ci credevano che avessi solo 14 anni".
I debutti da sogno: "Nel giro di undici giorni ho debuttato in Serie A e in Coppa dei Campioni. Più pesante il primo esordio, il 22 febbraio 1981, Inter-Como 2-1: quel giorno successe di tutto. La notte prima della partita viene ricoverato per appendicite Canuti, dunque in panchina quel giorno ci siamo soltanto io, Cipollini, Pancheri e Tempestilli. Vierchowod spacca il ginocchio a Lele Oriali e Bersellini fa a me e a Pancheri: "Scaldatevi". Però butta dentro me: "Stai addosso a Nicoletti". Peccato che Nicoletti fosse alto 1,90, proteggeva la palla benissimo, io arrivo fuori equilibrio su un colpo di testa, respingo centrale, arriva Gobbo e fa gol. Poi vinciamo 2-1, ma nel frattempo viene espulso Beccalossi, i tifosi arrivano dietro la nostra panchina per protestare contro l’arbitro e mi prendo vari 5 in pagella. Però un premio mi tocca, la prima vasca calda dopo la partita a San Siro: che meraviglia".
Poi ancora: "La prima in Coppa Campioni è il 4 marzo, ma la figuraccia la faccio alla vigilia. Ci alleniamo la mattina alla Pinetina e il mister ci dà qualche ora di libertà: "Ci vediamo oggi pomeriggio alle sei in via Veniero, per andare a San Siro a provare le luci e il campo". Vado a Settala, anche se è una mazzata: volevo vedere la fidanzatina. Poi, visto che non avevo ancora la patente, inizia il solito viaggio della speranza: pullman fino a Piazza Grandi, il tram 24 fino al Duomo, metro rossa fino a Lotto. Peccato che si fanno le sei e cinque, arrivo dopo aver corso quei duecento metri come un pazzo e sono già tutti sul pullman, ad aspettare me: "Scusate, c’è stato un guasto sulla metro". Con la Stella Rossa, il giorno dopo, funzionò tutto meglio: il mio uomo era il più forte, Petrovic, ma lo marcai attaccandolo, sempre in anticipo, quasi con incoscienza. Ad un certo punto, su una pressione, faccio sfilare la palla e vado via fra due di loro, vicino alla nostra panchina. Erano tutti in piedi: "Bravo zio"". LEGGI ANCHE: Probabili formazioni Milan-Monza, ballottaggio Bennacer/Pobega. In difesa...
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