Su cosa è stato per lui il Milan nella sua vita: «La mia ancora di salvezza. Ho perso mia madre e mio padre quando ero ancora adolescente e il Milan mi ha accolto, ha dato un senso a tutto».
Sugli anni della sua adolescenza: «Difficili, già non era semplice venire via dal paese, da Travagliato, per andare nella grande città. Erano tempi diversi da questi e lo stacco si notava molto. In una situazione così, devi avere la forza mentale. Ho trasformato il dolore in rabbia e determinazione. È stato così per tutta la carriera».
Sull'essere rimasto sempre a Milano e sempre indossando i colori del Milan: «La storia mia e del Milan è difficile da ripetere. Io credo che esistano pochi rapporti così: il Milan ha dato un senso alla mia vita e insieme siamo tornati a vincere, in quegli anni con Arrigo Sacchi».
Sul sentimento che lo lega al Milan: «Riconoscenza».
Sui soprannomi 'Piscinin', che usava anche Gianni Brera, e 'Kaiser Franz', in omaggio a Franz Beckenbauer: «Se mi piace ancora 'Piscininì? Massì, mi ricorda una delle persone a cui sono più legato: Paolo Mariconti, il massaggiatore che per me è stato una figura molto importante. Fu lui a inventare quel soprannome, così milanese, quando ero ancora un ragazzo e giocavo già con i grandi in prima squadra. Ero il Piccolino della squadra».
Su quanto è stato vicino ad andare via dal Milan da calciatore: «Da calciatore, mai. Credo che davvero non ci sia stato un momento da possibile addio. Restare al Milan è stata una scelta di vita. C’è stata quell’esperienza da dirigente in Inghilterra, quando avevo smesso ...».
Nel 2002, l'esperienza al Fulham di Mohamed Al Fayed, con 81 giorni da direttore tecnico: «In fondo fu soltanto un mese: prima della fine di agosto, ero già tornato a Milano. Avevo capito che non era il posto per me e non ho neanche iniziato a lavorare. Il cordone ombelicale con il Milan non si è mai rotto».
Sul lavoro di dirigente al Milan: «Con Fondazione Milan ho conosciuto la povertà, in Kenya, in Marocco. In Libano mi sono messo a giocare per la strada con i bambini. Sono emozioni che mi hanno completato».
Su Baresi che non sa stare senza il Milan: «C’è sempre stato un rapporto di stima tra me e il Milan, tra alti e bassi. Il mio pensiero è sempre stato per la squadra e il club, mai per me stesso, ma mi è sempre tornato indietro tutto. Ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto».
Su Silvio Berlusconi: «È stato come un padre e ha realizzato i miei sogni. Ritirare il numero 6 quando ho smesso è stata una cosa enorme».
Su Gianni Rivera: «Il mio primo capitano. Lo avevo visto giocare, da vicino, nelle mie domeniche da raccattapalle allo stadio. All’inizio faticavo a dargli del “tu”, mi sembrava un personaggio lontano, ma la realtà è che mi ha protetto molto. Rivera e Bigon più degli altri mi stavano vicino tutti i giorni, mi tutelavano».
Su come i ragazzi di oggi guardano Franco Baresi: «Ah, non lo so, andrebbe chiesto a loro. Io però vedo che i calciatori del Milan mi guardano sempre con grande rispetto. Sono stato in tournée con la squadra, la scorsa estate in New Jersey, e si vede che sanno chi sono, che cosa ho fatto per il club. Dare consigli ai ventenni di oggi non è semplice, abbiamo riferimenti diversi, vediamo cose diverse».
Su cosa resta, oggi, di Franco Baresi: «Questo lo vedremo più avanti. Io ho cercato di essere sempre un uomo sincero e metterci il coraggio, come il club e i milanisti meritavano. Il Milan in fondo è stato la mia seconda famiglia». LEGGI ANCHE: Conceicao verso l’esonero? “A Casa Milan volano stracci”. E Ibra … >>>
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