Dopo la carriera, brillante, da calciatore, Albertini è stato dirigente federale, poi amministratore unico dell’agenzia di sport e marketing che porta il suo nome, ex curatore fallimentare del Parma nel 2015, ambassador di Expo, membro della Commissione Stati Generali delle Carceri e della Commissione Sport e Mafia presso il Ministero della Giustizia e in possesso anche del patentino da direttore sportivo. "Troppo qualificato per essere chiamato da un club italiano?", si è chiesto sorridendo Albertini nella chiacchierata con il 'CorSera'.
"La società deve creare il contesto per far rendere al meglio i giocatori"
—Quindi, il classe 1971 ha spiegato come l'Inter non parta svantaggiata contro il Barcellona in Champions. "Giuseppe Marotta e Piero Ausilio hanno costruito la squadra seguendo logiche semplici: mixando giovani ed esperti, facendo però affidamento su un gruppo di italiani come Nicolò Barella, Francesco Acerbi, Alessandro Bastoni, Matteo Darmian, Federico Dimarco. Un elemento cruciale, perché sono loro che creano il senso di attaccamento alla maglia. Marotta aveva già seguito questo modus operandi alla Juventus e lo ha replicato a Milano».
Per certi versi, gli è stato chiesto, questa Inter può ricordare il grande gruppo che c'era nel Milan della sua epoca e Albertini non ha potuto far altro che concordare. "Verissimo. In certi casi deve essere la società a creare il contesto per far rendere al meglio i giocatori. Uno spogliatoio coeso ti spinge a dare di più, a superare ogni difficoltà. Io posso testimoniarlo nella mia duplice veste. Da senatore del Milan e da straniero nel vestuario del Barça". LEGGI ANCHE: Calciomercato Milan, via Maignan? Il sostituto arriva in uno scambio >>>
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