Oggi, mentre Kakà è giustamente celebrato come una leggenda del calcio, un modello di eleganza e efficacia, il percorso di João Félix è ancora in divenire, costellato di alti e bassi, di promesse non del tutto mantenute. Non si tratta di sminuire il valore del portoghese, un giocatore con indubbie qualità, ma semplicemente di riportare il dibattito su un piano di maggiore realismo.
Quel "qualche folle" che azzardava il paragone, probabilmente animato dalla speranza di trovare un nuovo idolo, si è dovuto arrendere all'evidenza che certi paragoni sono non solo prematuri, ma intrinsecamente sbagliati. Kakà era un unicum, un giocatore che ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio per la sua completezza e la sua capacità di fare la differenza nei momenti cruciali.
Joao Félix ha ancora tempo per scrivere la sua storia, per trovare la sua strada e per dimostrare il suo valore, ma non al Milan. La lezione che ci lascia questo aneddoto è chiara: il talento da solo non basta, e il paragone con un campione come Kakà è un fardello troppo pesante per essere caricato sulle spalle di un giovane, per quanto promettente. Il campo, giudice supremo, ha emesso la sua sentenza, sussurrando un lapidario: "No, non era Kakà". E forse, in fondo, era meglio così. Ogni giocatore ha il diritto di costruire la propria leggenda, senza l'ingombrante paragone con un'icona che ha fatto la storia. LEGGI ANCHE: Inter-Milan, il derby dei nervi saldi: rossoneri ancora imbattuti nella stracittadina >>>
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