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Sacchi: “Io il migliore di sempre. Su me e Van Basten si parlò troppo”

Il Milan del 1992 (credits: GETTY images)

Nella sua lunga intervista rilasciata alla gazzetta, Arrigo Sacchi ha parlato anche della sua fede calcistica e del suo rapporto con Marco Van Basten

Lorenzo Romagna

Nella sua lunga intervista rilasciata alla rosea, in occasione del suo 70° compleanno, Arrigo Sacchi (QUI la prima parte dell'intervista) ha parlato anche della sua idea di calcio e di qualche aneddoto avvenuto nella sua avventura rossonera: "Il calcio olandese l'ho scoperto fine anni Sessanta. Dirigevo il calzaturificio di mio padre, ero in Olanda per lavoro. Fu allora che mi innamorai del calcio totale. Il protagonista era la squadra, non il singolo. Vedere le partite dell’Ajax era come andare a un concerto. Musica armoniosa. Il calcio nasce dalla mente. Michelangelo diceva che i quadri si dipingono con il cervello, le mani sono soltanto strumenti. La stessa cosa vale per il calcio. Perché non amo il calcio all'italiana? A me piace essere protagonista e ho sempre voluto che le mie squadre avessero il controllo del gioco".

Sulla sua fede: "Facevo il tifo per l’Inter. Un giorno il presidente Moratti mi regalò una medaglia d’oro dei tempi di suo padre. Lo ringraziai e gli dissi: 'Io ho allenato il Milan, ma non sono un pentito. Stia attento, i pentiti sono i peggiori'".

Su Van Basten: "Se ho mai litigato con lui? Si è romanzato molto, ma la verità è che tra di noi c’era una grande stima. Dopo una sconfitta i giornalisti andarono da Marco e gli chiesero che cosa pensasse. Lui, abituato alla stampa olandese, si mise a parlare a ruota libera, a dire qual era il suo calcio ideale. Il giorno dopo, le prime pagine dei quotidiani titolavano: 'Van Basten contro Sacchi'. Lo presi da parte e gli spiegai come funzionava in Italia il rapporto con la stampa. La domenica lo tenni in panchina e gli dissi: 'Visto che ne sai tanto di calcio, oggi stai vicino a me così mi aiuti...'. Una volta a Parma, gennaio 1991, l'ho sostituito perché non si impegnava. Perdevamo 2-0, io ero squalificato e ordinai al mio vice Galbiati di cambiare Van Basten. Marco mi chiese spiegazioni. Gli dissi che stava giocando male. Mi rispose: 'C’erano altri che giocavano male, perché ha tolto me?'. 'Perché gli altri correvano, tu no'. Mi chiese quindici giorni di riposo per riflettere. Glieli concessi. Dopo tre giorni voleva essere reintegrato, ma io gli spiegai che mi aveva chiesto quindici giorni e non erano ancora passati".

Sul ritorno al Milan: "Fu un errore. Dissi subito a Galliani che non si poteva curare un ammalato grave con l’aspirina. Fu una brutta annata".

Sul ruolo di allenatore: "Un tecnico deve responsabilizzare i giocatori e trasmettere il suo credo. Il gioco comanda, i giocatori lo interpretano. Un mio vecchio allenatore, quando giocavo da mediano e marcavo il numero 10 avversario, mi diceva: 'Arrigo, quando prendi il pallone, passalo a Pollini'. Io non capivo il perché. Un giorno gli chiesi: 'E se Pollini è malato?'. Non mi rispose. Lì capii che dovevo dare ai miei ragazzi uno spartito da interpretare, sennò non avrebbero saputo affrontare le difficoltà".

Sui migliori allenatori: "Chi il migliore di sempre? Quello che ha fatto stare bene la sua gente. Quando sono arrivato al Milan c’erano 30 mila abbonati. L’anno dopo erano più di 60 mila. Qualcosa ho fatto, no?. Il migliore allenatore di oggi? Ancelotti, Guardiola e Mourinho. Carlo è un maestro nei rapporti. Pep è un professore sul campo. Mou è carismatico e ha metodi innovativi".

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