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Sacchi: “Ecco come ho stupito Berlusconi. Sugli attriti con lui…”

Arrigo Sacchi (credits: GETTY Images)

Arrigo Sacchi, che oggi compie la bellezza di 70 anni, si racconta a 360° alla rosea. Ecco le sue parole sull'avventura in rossonero...

Lorenzo Romagna

Arrigo Sacchi, soprannominato 'il profeta di Fusignano', oggi spegne 70 candeline. Sulla panchina rossonera ha vinto di tutto e di più: un campionato, una Supercoppa Italiana, due Coppe dei Campioni, due Supercoppe Uefa e due Coppe Intercontinentali. E, in occasione del suo compleanno (QUI il video delle sue più belle vittorie in rossonero), ha rilasciato una lunghissima intervista a 'La Gazzetta dello Sport': "Se sono arrivato al Milan devo ringraziare i parmigiani. Gente civile, educata, colta. Un esempio: in Serie B perdiamo una partita a Cremona, sono arrabbiatissimo, torno in città, decido di fare una passeggiata e, arrivato in Piazza Garibaldi, mi circonda un gruppo di tifosi. Penso: 'Adesso mi fanno la pelle!'. Invece mi portano in trionfo: nonostante avessimo perso, si erano divertiti".

Sull'incontro con Berlusconi: "Con il Parma affronto il Milan in amichevole e in Coppa Italia. Giochiamo bene. Berlusconi è stupito. Parla con il presidente Ceresini e gli chiede di conoscermi. Il Cavaliere mi dice: 'La seguirò per tutto il campionato'. Poi mi chiamò al Milan. Se mi sentivo arrivato al Milan? Tutt’altro. Era l’inizio. Dovevo dimostrare di meritare quel posto e quel ruolo. Quindi l’ossessione raddoppiò".

Sul suo primo anno in rossonero: "Se è vero che ai giocatori del Milan feci vedere le cassette delle partite del mio Parma? Debuttavamo in campionato contro il Pisa che io avevo affrontato, in B, pochi mesi prima. Feci vedere a Baresi e agli altri come giocava quel Pisa. Una cosa normale. Poi si romanzò molto. Baresi non si arrabbiò. Sono balle. Nessuno mi ha mai rimproverato per quel motivo. Il primo anno ho rischiato il posto ma Berlusconi mi difese davanti a tutti, fece capire che io facevo parte del progetto e che, senza di me, non si sarebbe andati avanti. Fu decisivo".

Sul Napoli di Maradona: "Prima della partita nel gennaio dell'88 con loro dissi alla squadra una cosa semplice, 'contadina': non fate arrivare il pallone a Maradona, sennò ci castiga. Difesa alta e fuorigioco a metà campo. Vincemmo 4-1. L'avversario più difficile da affrontare è stato proprio Maradona. Unico, irripetibile. Una personalità pazzesca".

Sui pre-partita: "Dormivo poche ore, pochissime. Ero sempre teso, pensieroso. Studiavo strategie, pensavo a che cosa dovevo dire ai giocatori. Ho dato la vita per il calcio, e il calcio mi ha ripagato. Il mio stress nasceva dalla paura di deludere le persone che credevano in me. Cercavo di farlo diventare un plusvalore".

Sull'attrito con Berlusconi: "Lui voleva Borghi, io Rijkaard. Lo convinsi. Anche in quel caso Berlusconi dimostrò di essere intelligente e lungimirante. Rijkaard fu determinante per il mio Milan. Se è vero che il presidente non voleva Ancelotti? Come no? Mi disse: 'Non posso acquistare un giocatore che ha il 20 per cento di invalidità a un ginocchio'. Gli risposi: 'Mi preoccuperei se l’invalidità ce l’avesse al cervello'. E Ancelotti venne acquistato".

Sulla finale di Coppa Intercontinentale a Tokyo nel 1989: "Dopo la partita convocai una riunione perché avevo visto alcune cose che non mi erano piaciute in campo. Non staccavo mai: era la mia forza e la mia debolezza".

Sulla vigilia di semifinale di Coppa dei Campioni contro il Real nella primavera ‘89: "Cosa accadde? Allenamento tirato, Albertini entra duro su Evani che si rompe. Sono senza l’ala sinistra, non so che cosa fare. Parlo con alcuni giocatori che mi danno qualche suggerimento, ma non sono convinto. Alla fine metto all’ala sinistra l’uomo che meno di tutti poteva occupare quel ruolo: Ancelotti. E lui, partendo da sinistra e accentrandosi, segna il primo gol contro il Real Madrid".

Sulla faccenda della monetina di Alemao: "Tanta rabbia, abbiamo perso uno scudetto in quel secondo anno. Ma quella volta ci furono cose poco chiare. Poi ho saputo, però sto zitto sennò mi mettono in galera. Diciamo che la politica non fu estranea a quella vicenda".

Sulla notte di Marsiglia: "Non mi opposi all'abbandono del campo da parte della mia squadra perché ero un uomo della società, dovevo fare quello che i dirigenti decidevano".

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