La scena clou, quella che segna uno dei momenti più drammatici, si consuma in una palestra. Beretta, avvertito della minaccia, si presenta armato. A bordo di una Smart — che gli inquirenti non esitano a definire “l’auto dell’omicidio” — affronta Bellocco. Ne nasce un conflitto violento: il primo estrae la pistola, l’altro riesce a strappargliela e spara. Beretta sopravvive e risponde con un coltello, colpendo l’avversario 21 volte, 6 al cuore.
La tensione nell’ambiente esplode. L’ipotesi che Beretta possa decidere di collaborare con la giustizia terrorizza l’intero mondo ultras. Lui stesso confida: “Non ho scelta, altrimenti mi uccidono”. D’Alessandro, arrestato per l’omicidio di Boiocchi, avrebbe chiesto alle autorità: “Non riportatemi in Italia. Fatemi scontare la pena in Bulgaria”. Parole che dicono tutto sul clima che si respira attorno a questa vicenda.
Una storia che travolge non solo le dinamiche del tifo, ma getta un’ombra pesante su una parte del calcio italiano ancora troppo vicina a certi ambienti. Mentre le indagini proseguono, resta l’amaro interrogativo su quanto il mondo ultras sia diventato terreno fertile per violenza, potere e criminalità. LEGGI ANCHE: Sacchi, invito al Milan: “Telefona ad Ancelotti”. Il retroscena sull’orso >>>
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