RASSEGNA STAMPA

Tradimenti, omicidi e criminalità: la faida che ha sconvolto la Curva Nord dell’Inter

Alessia Scataglini
Alessia Scataglini
Non è più solo una questione di tifo, né di rivalità da stadio: i retroscena legati all'ambiente ultras nerazzurro nella Curva Nord

Non è più solo una questione di tifo, né di rivalità da stadio. Quella che emerge dalle ultime inchieste riguarda uno scenario cupo e inquietante, che travalica i confini del calcio e assume i contorni di una guerra di potere criminale, consumata all’interno della Curva Nord dell’Inter. Un racconto degno di una serie crime, dove le tifoserie organizzate diventano teatro di faide interne, tradimenti, piani di morte e lotte di controllo.

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera e dalla Gazzetta dello Sport, le figure centrali di questo intreccio sono nomi noti nel mondo ultras e già da tempo attenzionati dagli investigatori: Daniel D’Alessandro, detto “Bellebuono”, Andrea Beretta, Giuseppe Ferdico, fino ad arrivare a Francesco Bellocco, figura legata alla criminalità calabrese. Tutti coinvolti in una trama in cui il tifo è solo la superficie. Sotto, si muovono interessi ben più oscuri.

Curva Nord, ombre e sangue: il lato oscuro del tifo organizzato

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Le intercettazioni raccolte dagli inquirenti raccontano una tensione crescente, fatta di sospetti e minacce sussurrate. È “Bellebuono” a mettere in guardia Beretta, svelandogli un presunto piano di morte: “Ti offriranno un caffè avvelenato con le benzodiazepine, poi ti uccideranno”. Un avvertimento che, stando alle ricostruzioni, avrebbe salvato la vita di Beretta, ma che non ha impedito la spirale di sangue che ne è seguita.

Tre gli omicidi al centro dell’inchiesta: quelli di Fabrizio Piscitelli (meglio noto come “Diabolik”), Claudio Boiocchi e lo stesso Bellocco. Eventi che non sarebbero frutto del caso, ma pezzi di una strategia interna per la conquista del comando nella curva e per mantenere il controllo su traffici illeciti collegati al mondo ultras.


La scena clou, quella che segna uno dei momenti più drammatici, si consuma in una palestra. Beretta, avvertito della minaccia, si presenta armato. A bordo di una Smart — che gli inquirenti non esitano a definire “l’auto dell’omicidio” — affronta Bellocco. Ne nasce un conflitto violento: il primo estrae la pistola, l’altro riesce a strappargliela e spara. Beretta sopravvive e risponde con un coltello, colpendo l’avversario 21 volte, 6 al cuore.

La tensione nell’ambiente esplode. L’ipotesi che Beretta possa decidere di collaborare con la giustizia terrorizza l’intero mondo ultras. Lui stesso confida: “Non ho scelta, altrimenti mi uccidono”. D’Alessandro, arrestato per l’omicidio di Boiocchi, avrebbe chiesto alle autorità: “Non riportatemi in Italia. Fatemi scontare la pena in Bulgaria”. Parole che dicono tutto sul clima che si respira attorno a questa vicenda.

Una storia che travolge non solo le dinamiche del tifo, ma getta un’ombra pesante su una parte del calcio italiano ancora troppo vicina a certi ambienti. Mentre le indagini proseguono, resta l’amaro interrogativo su quanto il mondo ultras sia diventato terreno fertile per violenza, potere e criminalità. LEGGI ANCHE: Sacchi, invito al Milan: “Telefona ad Ancelotti”. Il retroscena sull’orso >>>