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Sacchi: “Sarri? Ecco cosa dissi a Berlusconi per portarlo al Milan…”

Arrigo Sacchi (credits: GETTY Images)

Arrigo Sacchi, ex allenatore del Milan e della Nazionale, ha rilasciato una lunga intervista alla "Gazzetta dello Sport". Ecco le sue dichiarazioni

Salvatore Cantone

Arrigo Sacchi, ex allenatore del Milan e della Nazionale Italiana, ha rilasciato una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, in cui affronta diversi temi relativi al calcio italiano: "Adesso basta parole. questo è il momento giusto per cambiare. A patto, ovviamente, di voler invertire la rotta. Il commissariamento della Federcalcio è un’opportunità che va colta al volo, c’è la possibilità di disegnare un progetto, di mettere gli uomini giusti al posto giusto, di rendere concrete le idee. Naturalmente, però, non si deve sottostare alle solite “camarille” italiane, altrimenti di che cosa stiamo parlando?".

Scusi, Sacchi: l’Italia è fuori dal Mondiale, il movimento è in crisi d’identità e di valori, c’è bisogno di sapere quale strada si deve seguire.

“Una sola, a mio avviso. Si deve mettere il pallone al centro del campo”.

Concetto condivisibile, ma in concreto che cosa significa?

"Semplice: l’Italia, dopo anni di oscurantismo calcistico, ha il dovere di darsi uno stile. Di gioco, prima di tutto. Ma anche culturale. Sarà mai possibile che da noi il calcio sia ridotto soltanto al verbo “vincere”. D’accordo, la vittoria è importante, però una vittoria senza merito che cosa vale? Nulla. Si deve raggiungere il traguardo attraverso valori come il coraggio, l’armonia, la bellezza. Altrimenti i successi resteranno isolati, non si moltiplicheranno, saranno sempre momenti singoli e non parte di una storia"

Cerchiamo soluzioni, ovviamente concedendo tempo a chi deve metterle in pratica.

“Per trovare una soluzione bisogna leggere la realtà e studiare le contromosse. Come giochiamo noi? Aspettiamo, distruggiamo e ripartiamo. Vi domando: è più facile distruggere una casa o tirarla su? Io penso che a distruggere una casa siano capaci tutti, o quasi tutti, mentre a costruirla no: ci vogliono i geometri, gl’ingegneri, gli architetti. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno”.

In soldoni, il pallone adesso ce l’ha Costacurta che deve scegliere il commissario tecnico della Nazionale maggiore. Che cosa dovrebbe fare?

“A Costacurta ho detto: “Spero che tu sia lì a operare e a lavorare sul serio”.

Ha qualche dubbio?

“No, però mi sembra che ultimamente il calcio abbia imitato la politica: vedo molti inciuci. Si bada all’immagine. Io, nel 2010, sono stato chiamato dalla Federcalcio, dopo il disastro del Mondiale sudafricano, per dirigere le nazionali giovanili. Con me sono stati nominati Rivera e Baggio, con ruoli diversi che non ho mai compreso. Io ho detto: “Vengo, ma sappiate che io lavoro”. Ultimamente, ad esempio, mi ha dato fastidio, e non poco, questa storia del casting per il commissario tecnico. C’è una lista di nomi, si valutano, si sfoglia la margherita... Ma come? Stiamo parlando di bravi professionisti, con anni di mestiere sulle spalle. Si tratta di scegliere: se voglio fare un calcio difensivo, vado su questo elemento; se voglio un calcio propositivo, mi indirizzo su quest’altro allenatore; se voglio un calcio prevalentemente tattico, opto per quest’altra soluzione. Non c’è bisogno di fare il casting, si deve avere un’idea chiara in testa e poi perseguirla e attuarla”.

Ci sono molti nomi in lizza: Conte, Ancelotti, Mancini, Ranieri, lo stesso Di Biagio. Che ne dice?

“Sono diversi l’uno dall’altro, come diverso è il calcio che propongono. E qui torniamo al ragionamento precedente: prima devo sapere che cosa voglio fare e poi scegliere l’uomo che può garantirmi di arrivare all’obiettivo. Quando ero direttore tecnico del Parma, all’inizio degli anni Duemila, avevo in mente un progetto. Stesi una lista di allenatori: Delneri, Prandelli e Vialli, che era un mio vecchio pallino. Li contattammo in rigoroso ordine di preferenza. Il primo non accettò, Prandelli disse subito sì e costruimmo qualcosa d’importante. Questo è il modo per darsi un futuro e uno stile”.

La bellezza sta anche nella capacità a volte di soffrire, di difendere il risultato. Non crede?

"Io quando soffro, sto male e non mi diverto. Non so voi, ma a me capita così. Ho sempre desiderato con le mie squadre di essere padrone del campo e del gioco. Qualche anno fa, Maurizio allenava ad Empoli. Ho detto a Berlusconi, parola mia: prendilo al Milan, perché è venuto a Milano, a San Siro, con il suo Empoli e ha dominato. Con l'Empoli, mi sono spiegato?"Il suo Napoli mi diverte, mi affascina".

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