Sul suo soprannome calcistico 'Concorde': "Mi sa che è stato Carlo Pellegatti a darmi questo nome appena arrivai nel 1999. Mi ha dato questo bellissimo soprannome. Adesso non corro più come prima, il tempo è passato. La mia storia con la velocità inizia a scuola, quando studiai la parte atletica. Iniziai a fare i 100 metri e scattò la passione per la velocità".
Sul suo passato da centometrista: "A scuola si faceva atletica, ma si giocava anche a calcio. Piano piano ho iniziato ad avere più la passione per il calcio che per l'atletica. Con un gruppo di ragazzi feci anche le Pre-Olimpiadi, ma non sono arrivato a quel livello. La mia passione per il calcio è sempre stata più forte".
Sul clima di Milano: "A Milano in quel periodo faceva veramente freddo e per me, da buon brasiliano, era un massacro".
Sulla sua infanzia e adolescenza: "Noi brasiliano siamo nati col calcio nel sangue e la passione viene sempre da piccolini. Avere la voglia e il sogno di arrivare in Europa è un percorso gigantesco. Sono sempre stato un grandissimo tifoso del Milan, quello degli anni di Van Basten, Gullit e ho sempre avuto il desiderio di far parte della storia di questo club. Grazie a Dio ho avuto la possibilità di fare la storia con questa squadra".
Sulla città di Milano: "Da quando ho smesso sono rimasto a Milano. Adesso sono quasi 6 anni che sono rientrato a Milano. La mia famiglia si trova molto bene qui. Milano è diventata più la mia casa che la mia seconda casa. A Rio vado pochissimo, una volta all'anno".
Su chi fu a scoprire Serginho e a portarlo al Milan: "In quel periodo era molto difficile, perché la globalizzazione non era forte come oggi. C'era uno scout del Milan, che si chiamava Luiz Do Santos, che lavorava tanto sul mercato sudamericano e lui, insieme ad Ariedo Braida, mi ha scoperto in Brasile".
Sull'arrivo al Milan a solo 28 anni: "Il Milan mi ha ingaggiato nel marzo del '99, però io stesso ho iniziato molto tardi. Non ho avuto l'opportunità di fare il settore giovanile. A 20 ero in una squadra di un campionato regionale brasiliano. Oggi è molto più facile, la comunicazione tra il Brasile e l'Europa è molto più forte di prima".
Sul suo primo giorno a Milanello: "Mi ricordo. Il mio idolo è sempre stato Paolo Maldini e vederlo per la prima volta mi creò un certo impatto. Appena arrivato vedo Paolo ed è stata un'emozione molto grande".
Sulle difficoltà nell'ambientarsi: "Quando arrivi dal calcio brasiliano i primi tre mesi sono difficile. Perché la nostra cultura calcistica è molto diversa da quella italiana. Mi ricordo che quando arrivai, come terzino andavo 20 volte a fondo campo. Zaccheroni, che era un allenatore molto tattico, mi disse che ero un terzino e per prima cosa dovevo occuparmi della difesa. Risposi che forse avevano sbagliato loro perché la mia caratteristica era andare avanti, non difendere. Il primo anno fu molto difficile, poi piano piano hanno iniziato a capire il mio stile di gioco e alla fine è andato tutto bene".
Sul Milan dei brasiliani: "Mi ricordo del periodo che va dal 2000 fino al 2008. Erano tanti i brasiliani protagonisti, non solo nel calcio italiano ma anche in quello mondiale. C'era un Milan brasiliano e il derby con l'Inter era anche un derby sudamericano, perché dall'altra parte c'era una squadra con tanti argentini. Si creava una doppia atmosfera, il derby ha sempre causato tante emozioni".
Sull'allegria nello spogliatoio: "L'allegria fa parte della nostra cultura, per noi l'allenamento è fatto per divertirci. Mi ricordo che quando andari per la prima volta a San Siro, nel pullman c'era un silenzio tremendo, non parlava nessuno. Da noi, quando andavamo in campo, soprattutto nel pullman era un casino. Qui si vedeva che la cultura era diversa, ma noi brasiliani portavamo sempre allegria".
Su quegli anni e i ricordi più belli anche fuori dal campo: "Abbiamo sempre avuto la fortuna di creare grandi gruppi. Io penso che nel calcio non si vince solo in campo. Se sei in un gruppo in cui non tutti si vogliono bene diventa tutto più difficile. Noi eravamo un gruppo molto unito. Mi ricordo che si usciva a mangiare insieme, dopo le partite eravamo lì a parlare un po'. Dopo gli allenamenti c'erano molti ragazzi che rimanevano lì, a Milanello, a pranzare insieme. Questo fa diventare più forti. Oggi ho ancora contatti con Ambrosini, Abbiati, Seedorf, Oddo. Quando ci vediamo sembra che sia rimasta la stessa cosa. Ci vogliamo bene anche come persone".
Sulla stagione 2002/03: "In quell'occasione arrivò la prima Champions League. Berlusconi e Galliani volevano una squadra vincente, perché era da tanto tempo che il Milan non vinceva in Europa. C'erano aspettative molto alte su quel gruppo. Abbiamo avuto tante soddisfazioni in quegli anni, ma eravamo forti e si vedeva anche da come giocavamo. Ci capivamo, ci divertivamo in campo, non era un lavoro. Fino a che è durato, quel gruppo è stato veramente forte".
Sul derby con l'Inter in semifinale di Champions: "Il derby portava tanta tensione. I giornali iniziavano a parlare di Milan-Inter già due settimane prima. Galliani e Braida ci dicevano che le cose in campionato non andavano bene, però il derby non si può perdere. Era una cosa allucinante, perché se vincevi il derby sembrava di essere i campioni del mondo. La tensione era molto forte, anche se noi brasiliani eravamo molto tranquilli perché era una partita di calcio. Noi affrontiamo la vita con più serenità, perché la tensione ruba energia e concentrazione".
Sui rigori nella finale contro la Juventus: "Quando arrivi a battere un rigore in finale la tensione diventa gigantesca. Mi ricordo molto bene che Buffon sembrava gigante e la porta era diventata molto piccola. Alla fine, però, eravamo preparati per quel momento".
Sulla doppietta in finale di Coppa Italia contro la Juventus: "Noi eravamo più preoccupati per la finale di Champions League, se non sbaglio si giocava dieci giorni dopo. Mi ricordo che Brocchi mi fece un grande passaggio e io feci un grande gol di esterno sinistro. Potevo farlo con il destro ma il destro lo uso solo per camminare. Fu molto bello, perché diedi alla squadra più tranquillità. La Coppa Italia non aveva tanta importanza come oggi".
Sul 6-0 nel derby contro l'Inter: "Quella partita fu un po' strana, perché noi vivevamo un momento delicato. Mi ricordo che l'allenatore era Cesare Maldini, dopo l'esonero di Terim. Per fortuna abbiamo avuto quel grandissimo risultato. Era una di quelle partite in cui tutto va bene, la serata perfetta. Noi facemmo la nostra partita, ma non eravamo fortissimi. Quei 90 minuti furono molto positivi per noi, per loro meno".
Sulla finale di Istanbul: "Prima della finale facevamo allenamento e per noi della seconda squadra era quasi impossibile segnare a una difesa formata da Maldini, Nesta, Stam e Cafu. Poi c'era anche Dida che in quel momento era il portiere più forte del mondo. Dopo il 3-0 dissero che festeggiamo nello spogliatoio, ma non era vero. Litigammo anche nello spogliatoio durante l'intervallo, perché in ogni partita avevamo un crollo di 10 minuti. La squadra vinceva ma in quei 10 minuti sembrava non esserci. Non era solo un problema di Milan-Liverpool, era un problema di tutta la stagione. In spogliatoio si parlava di quel crollo mentale all’intervallo. Tu quando giochi contro una squadra normale, non te ne accorgi. Quando giochi contro il Liverpool, possono essere decisivi quei 10 minuti. Dopo che sono passati, siamo tornati e abbiamo creato una marea di occasioni. Come accaduto nel derby 6-0: c’è la serata in cui tutto va bene, quella non lo era. Era impossibile perdere quella finale nel nostro occhio umano".
Sulla sua vittoria più bella: "La mia personale è stata a Manchester perché era la mia prima Champions. Ma io mi ricordo anche quando siamo usciti contro il Barcellona in semifinale, noi eravamo un grandissimo Milan, si giocava molto bene. Sicuramente come vittoria personale il 2002/03".
Sull’esperienza da osservatore per il Milan: "Quando ho smesso nel 2008 mi hanno chiamato Galliani insieme a Leonardo che erano i due direttori, dicendomi che serviva un ambasciatore in Brasile, non solamente per creare un gruppo di scouting in Sudamerica, ma anche per Fondazione Milan. Abbiamo creato il Milan Junior Camp, era una squadra molto seguita. Avevo un gruppo di due ragazzi che facevano scout e andavano in tutto il Sudamerica a vedere giocatori di qualità. Abbiamo visto Thiago Silva e tanti giocatori, alla fine abbiamo avuto l’opportunità di arrivare a Thiago. Ho lavorato tanto con il Milan, il Milan è la mia casa. Anche oggi ho questo rapporto con il Milan, non con la dirigenza perché non conosco la parte americana, ma ho rapporto con i ragazzi italiani rimasti".
Su Zaccheroni e Ancelotti: "Il primo è un allenatore molto tattico. Non ho avuto la fortuna di prendere lui dopo il mio primo o secondo anno in Italia, perché quando sono arrivato capire tutte le informazioni che voleva darmi, era molto difficile. Quando sono arrivato qua, ho avuto tanti problemi con lui perché non capivo quello che voleva passarmi di parte tattica, io pensavo solo alla tecnica. Mi ha insegnato tante cose. Carlo sicuramente non è uno che lavorava sulla parte tattica come Zaccheroni, ma ha un occhio impressionante. È uno che vedeva le partite come pochi allenatori nel mondo, ma non solamente questo. Ha una grande differenza: è uno che sa gestire umanamente in maniera impressionante, è uno psicologo, riesce a far star bene tutti, è una fortuna grandissima per un allenatore, mantenere un gruppo soddisfatto. È un intenditore grandissimo di calcio. È stato molto importante non solo per me, ma per il calcio mondiale".
Su Berlusconi e Galliani: "Silvio è una bandiera. Abbiamo vissuto tanto tempo con lui. Veniva poco a Milanello, però il tempo che stava insieme a noi era sempre una gioia. Sentire la sua energia, era sempre come andare a scuola e imparare qualcosa. Ci ha sempre dato questo affetto. Io avevo particolarmente un rapporto stretto. Quando arrivava con il suo elicottero in inverno mi diceva: ‘Sergio, tutti dicono che non sei forte in marcatura, ti insegno io, vieni con me’. Mi diceva di provare sempre di anticipo. È stato un grandissimo piacere vivere questo periodo con lui, era la persona più semplice del mondo con noi. Il dottor Galliani è stata una persona top, aveva uno stimolo forte con i brasiliani, è sposato con una brasiliana. Mi ricordo dopo la cena delle partite di Champions, lui rimaneva con noi brasiliani a cantare ‘Aquarela’ e tutt’oggi me lo chiede. Anche con Ariedo Braida abbiamo avuto questo rapporto".
Sulla perdita di suo figlio Diego: "Nella vita ogni tanto ti capitano episodi così. Non siamo molto preparati per avere un capitolo così, la perdita di un figlio è una cosa veramente molto brutta. Noi crediamo sempre in Dio. La nostra vita non è solamente quello che viviamo oggi. Se noi crediamo che la Terra Promessa per Dio è quella che viviamo oggi, siamo un po’ persi perché oggi viviamo nello stress. Io credo molto a Dio e non credo che la vita possa avere solamente questo senso, io credo nella vita eterna, una vita dopo questa nella quale non hai dolore, non hai i pensieri di ogni giorno. Tutti noi abbiamo i problemi e solamente Dio mi può dare questo conforto, solamente lui mi può dare la forza di alzarmi e camminare. Posso dire che senza di Lui è impossibile, perché il dolore che affrontiamo ogni giorno è sicuramente il dolore più forte che una persona può avere (si commuove, ndr). Vivere con una perdita così è molto difficile. L’abbraccio della Curva? Non solamente la Curva, ma anche il Milan, i miei ex compagni. È dura perché è una cosa che non ti puoi aspettare, è una cosa contro natura. Non si può misurare una cosa così. Quando vedi che in un momento di difficoltà che non sei da solo, la vita è veramente un’altra cosa. Avere il sostegno della Curva, del Milan, dei compagni, della famiglia permette ogni giorno di avere la forza di alzarsi. Prima di tutto è Dio che mi dà la forza, mi dice di alzarmi perché abbiamo un proposito. Io oggi so che ho un proposito nel mondo, il messaggio mi arriva. Tante volte vediamo la vita con l’occhio umano, ma quando lasciamo un po’ fuori e la guardiamo con l’occhio spirituale, la risposta mi arriva. Questo è il messaggio che volevo lasciare. È una cicatrice che resterà con me per tutta la vita. Un po’ di tempo fa era impossibile parlare di questo discorso, oggi piano piano ho la forza di affrontarlo. Devo pensare che sia stato un episodio della mia vita e debbano rimanere le cose positive che abbiamo vissuto insieme".
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