Pianeta Milan
I migliori video scelti dal nostro canale

INTERVISTE

Maldini ne ha per tutti: il suo addio al Milan tra verità e retroscena

intervista Maldini AC Milan
Paolo Maldini, ex direttore tecnico del Milan, ha concesso una lunga e interessante intervista a 'Repubblica'. Ecco tutte le sue dichiarazioni
Daniele Triolo Redattore 

Paolo Maldini, ex direttore tecnico del Milan, ha rilasciato un'intervista in esclusiva a Enrico Currò, giornalista di 'Repubblica', per l'edizione odierna del quotidiano. Per l'occasione, Maldini ha rivelato verità e retroscena sul suo addio al club rossonero. Ecco, dunque, qui di seguito, tutte le dichiarazioni dell'ex capitano del Diavolo.

Sul perché ha aspettato sei mesi dal licenziamento dal Milan prima di parlare: "Avrei parlato di pancia, il tempo permette serenità. Ci sono persone di passaggio, senza un reale rispetto di identità e storia del Milan. E ce ne sono altre legate ai suoi ideali. Converrebbe tenersele strette".


Sul divorzio dal club rossonero: "Se il club è stato venduto a 1.2 miliardi e la proprietà vuole cambiare, ne ha il diritto. Ma vanno rispettati persone e ruoli. Ho dovuto trovare un accordo per i miei diritti. L’amore per il Milan rimane incondizionato. Da figlio di Cesare. Da ex capitano. Da papà di Christian e Daniel. E da dirigente in 5 anni fantastici. L’informazione non viene indirizzata verso la verità: chi dice il contrario sa di mentire a sé stesso. Per fortuna mi pare che il pubblico non si faccia condizionare".

Su Gerry Cardinale che lo reputa un individualista: "Si confonde con la volontà di essere responsabile delle decisioni previste dal ruolo. Il confronto quotidiano è una benedizione. Un ex calciatore di alto livello è abituato al giudizio ogni 3 giorni. Come dirigente sono cresciuto, nei primi 6 mesi mi sentivo inutile. Leonardo mi diceva: 'Stai solo imparando'. Non è facile interloquire con un fondo americano o un CEO sudafricano".

Sul mercato che, si dice, non fosse condiviso: "Niente di più lontano dal vero che io e il DS Massara non condividessimo obiettivi e strategie. Mai avuto, né voluto, potere di firma: nemmeno per i prestiti. Ogni acquisto era avallato da CEO e proprietà. I giocatori li abbiamo scelti noi, a volte spariva il budget. È normale a volte l’interferenza nelle scelte sportive, che spostano equilibri finanziari. È ingiusta l’accusa di non averle condivise. Per Ibrahimovic servirono tante riunioni".

Sul possibile ritorno di Zlatan Ibrahimovic in questo Milan: "Gli posso suggerire che all'inizio sarebbe logico osservare e imparare".

Sul 5 giugno 2023, giorno in cui è stato licenziato dal Milan: “Gerry Cardinale mi disse che io e Massara eravamo licenziati. Gli chiesi perché e lui mi parlò di cattivi rapporti con l’A.D. Furlani. Allora io gli dissi: 'Ti ho mai chiamato per lamentarmi di lui? Mai'. Ci fu anche una sua battuta sulla semifinale persa con l’Inter, ma le motivazioni mi sembrarono un tantino deboli. Le cosiddette assumptions, gli obiettivi stagionali, erano: eliminazione ai gironi di Champions, un turno passato in Europa League, qualificazione alla Champions successiva. La semifinale di Champions ha portato almeno 70 milioni di introiti in più e l’indotto record di sponsor e ticketing. L’attivo di bilancio appena approvato è relativo all’esercizio 2022-23, con le assumptions abbondantemente centrate".

Sul suo rapporto con Cardinale: "Con lui, in un anno, solo una chiacchierata, più 4 suoi messaggi. Diceva che dovevamo fidarci l’uno dell’altro. Io l’ho fatto: come sia andata, è noto. Io credo che la decisione di licenziarci fosse stata presa mesi prima e c’era chi lo sapeva. Il contratto, 2 anni con opzione di rinnovo, mi era stato fatto il 30 giugno 2022 alle 22: troppo impopolare mandarci via dopo lo Scudetto".

Sulle richieste che gli aveva fatto Cardinale: "Di vincere la Champions. Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a 2 suoi collaboratori molto stretti e all’A.D. Furlani. Risposte? Nessuna. Su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta. Vanno aspettati, aiutati, coccolati, ripresi. D’altronde, dopo 3 mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e CEO e praticamente delegittimati: i vari Leao, Bennacer e Theo non piacevano. Ma serviva un percorso. Ricordo sempre da dove siamo partiti".

Sul percorso fatto nel Milan: "Nel 2018-19: squadra non giovane e poco performante. Da 6 anni niente Champions, rosa da circa 200 milioni, monte ingaggi di 150. In 4 anni di ristrutturazione coi giovani: spesa di mercato al netto delle cessioni 120 milioni, 30 l’anno e 15 a sessione, valore della rosa salito a circa 500, stipendi scesi a 120 e poi per 3 anni a 100, senza avere potuto rinnovare con Çalhanoglu e Kessié. E a fine stagione scorsa: 3 Champions giocate di fila, Scudetto dopo 11 anni, semifinale di Champions dopo 16, bilancio in attivo dopo 17. Ma se si sta sul filo, basta una stagione per rovinare il lavoro precedente".

Sul budget per la stagione 2023-2024: “A marzo non se n’era ancora parlato e non si può aspettare giugno per programmare il mercato. Poi, 4 giorni prima del licenziamento, Furlani mi comunicò molto imbarazzato un budget basso: io ne presi atto. Dopo la nostra partenza, il budget è addirittura raddoppiato, al netto della cessione di Tonali, e il monte ingaggi è finalmente in linea col nostro piano: deve essere diventato fonte di ispirazione!”.

Sulla cessione di Sandro Tonali al Newcastle: "Noi avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità. Per Sandro spendemmo un quinto del valore di dominio pubblico e dovemmo discutere animatamente con CEO e proprietà: non lo voleva neppure l’area scouting".

Sul suo problema con le scommesse: "Una sconfitta: non mi sono mai accorto del suo disagio. Non si fa mai abbastanza per i ragazzi. Acquisti e cessioni sono solo una piccola parte del lavoro. Quello vero con Leao, Hernández, Bennacer, Maignan, Kalulu, Thiaw, Tomori e molti altri, è stato supportare il loro sviluppo".

Su Stefano Pioli: "Va ringraziato: è stato fondamentale per i giovani. Però l'allenatore è tra le persone più sole del calcio. Dargli compiti che esulano dai suoi, senza sostegno, lo renderà sempre più solo".

Sulla possibilità che l'avrebbe sostituito con Andrea Pirlo: "Il mio ruolo prevede confronti frequenti. Con Pioli lo stavamo già facendo per la stagione successiva. Aveva meritato il rinnovo fino al 2025. E se ci fosse stata, come in passato, unità di intenti e visioni con gli obiettivi societari, non vedo perché l'avremmo dovuto cambiare".

Su Paolo Scaroni che dice che senza Maldini il gruppo di lavoro al Milan è unito: "Mi dà fastidio come si raccontano le cose. Il Milan merita un Presidente che ne faccia solo gli interessi e dirigenti che non lascino la squadra sola. Lui non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro. L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo Scudetto. Ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire lo stesso anche rispetto ai due CEO, Gazidis e Furlani".

Sugli algoritmi che questo Milan usa sul mercato: “Non ce n’è bisogno, per prendere Loftus-Cheek, Pulisic e Chukwueze: basta usare i soldi che merita una squadra che finalmente fattura 400 milioni. Non si possono paragonare i 4 mercati precedenti con l’ultimo, avevamo armi diverse. La sostenibilità? Con Boban e Massara è stato stimolante tagliare del 30% gli ingaggi, rinnovare la rosa e aumentarne il valore con scudetto e 3 anni di Champions, dopo 7 senza”.

Sul nuovo stadio del Milan: "Motivo di scontro. Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70mila a San Siro avevo ragione".

Sulla sua idea di stadio rossonero per il futuro: "Con un nuovo San Siro, e con più verde, si rivaluterebbe una zona a rischio abbandono. Milano è trainante in Europa. Dobbiamo temere il degrado, non il futuro. I grandi campioni hanno reso lo stadio iconico. Ma è passato. Milano ha sempre guardato al futuro".

Sulla possibilità di portare Lionel Messi al Milan: "Dopo il Barça era libero e secondo proiezione sull'indotto ne valeva la pena, con il Decreto Crescita. Leonardo ci spiegò che il PSG era già avanti, così è rimasta un'idea".

Sul suo futuro professionale: "Le alternative al Milan sono limitate: mai un'altra italiana, eventualmente solo una straniera di alto livello. A me piace vincere e costruire. L'Arabia? Chissà, potrebbe essere un'idea".

Sulla dinastia Maldini che, nel Milan, si è fermata allo scorso 5 giugno: "Non lo so, un legame di 36 anni è troppo forte e resterà per sempre: la storia non si cancella. Dico grazie alla vita e al Milan. Vedo rappresentata una nuova era, un Berlusconi 2. Un ripassino della storia italiana degli ultimi 40 anni, politica e imprenditoriale? L’ho detto prima del mio congedo: 'Oggi comandate voi, ma per favore rispettate la storia del Milan'". LEGGI ANCHE: Calciomercato Milan - Lo voleva Maldini? Il retroscena sull'attaccante

tutte le notizie di

Se vuoi approfondire tutte le tematiche sul mondo Milan senza perdere alcun aggiornamento, rimani collegato con Pianetamilan per scoprire tutte le news di giornata sui rossoneri in campionato e in Europa.