Helder Cristovao, ex allenatore di Joao Felix ai tempi del Benfica, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista ai microfoni del quotidiano 'La Gazzetta dello Sport', nella sua edizione online, soffermandosi sull'esperienza al Milan del lusitano. Ecco, dunque, le sue parole.


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Cristovao: “Joao Felix non è stato capito. Al Milan non è funzionato nulla”
Milan, Cristovao difende a spada tratta Joao Felix: "Ha talento da vendere". Sui rossoneri ...
—"È uno che ha bisogno di giocare sorridendo. Al Milan purtroppo tutto questo è mancato. Gli dicevo sempre che quando faceva certe giocate, faceva uscire il sole. Era luce"
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Partiamo proprio da qui. Secondo lei cosa non ha funzionato in questi sei mesi in rossonero? "Basta guardare l’inizio e la fine. Quello è il vero Joao. Per il resto, non ha funzionato niente. Dall’ambiente alla squadra. Ed è ovvio che le prestazioni di un singolo, per giunta nuovo e per di più in prestito, ne risentano".
Cosa gli è mancato? "Direi tutto. Fiducia, tempo, pazienza. Poi credo sia anche un discorso d’insieme. Non gira la squadra, non gira nulla. E questi sei mesi sono stati così”.
Quale sarà la chiave per rivedere il vero Joao? "Il tempo. Ci vorrà la pazienza di aspettarlo, di farlo ambientare e di far esprimere il suo immenso talento. Ne ha da vendere. Io al Benfica gli dicevo sempre che quando faceva certe giocate era come facesse uscire il sole. Era luce".
Magari già dal Flamengo? Se ne parla in questi giorni… "Non lo so. Seguo sempre Joao ma non ci sentiamo spesso. Non so che scelte farà. Sicuramente avrà bisogno di un club che punti veramente su di lui, cosa che al Milan non è successa. È ancora giovane, può dare tanto al calcio".
In che ruolo lo vede bene lei? Altro tema su cui si è spesso discusso in questi mesi sotto la gestione di Conceiçao. "Senza dubbio dietro la punta. Poi sì, può fare anche l’esterno, però il ruolo è il trequartista. Per rendere al meglio deve stare vicino al centravanti, senza grandi compiti difensivi. Con me ha fatto anche il falso nove ed è andata benissimo. Quest’anno invece, era stato preso con un’idea, poi il cambio di modulo non l’ha agevolato. Come dicevo prima, è stato un insieme di sfortunati fattori".
Nel suo flop milanese anche la testa? "Secondo me no. Felix è un ragazzo serio e dedito. Forse un po’ umorale, ma a seconda della fiducia che sente dall’ambiente. Vedrete tornerà presto in nazionale e sarà uno dei più forti al mondo. Dispiace che il Milan non l’abbia capito".
Possiamo dire che in generale poteva fare di più in rossonero? "Sì, forse. Ma non è stato aiutato dalla situazione. Chi ha fatto bene al Milan negli ultimi sei mesi? Quasi nessuno…".
Adesso facciamo un passo indietro. Lei lo ha scelto e fatto esordire con il Benfica B. Ci racconta com'è andata? "Joao giocava nelle giovanili ed era già fortissimo, ma non riusciva ad essere decisivo. Anzi, spesso non giocava proprio. E pensare che arrivava dal Porto, dove non era stato valorizzato. Che stranezza, pensavo, uno così bravo… Poi un giorno, durante la pausa per le nazionali, lui viene lasciato a casa a sorpresa e quindi resta a Lisbona ad allenarsi. Parlo con il suo allenatore e con Rui Costa, e chiedo di poterlo aggregare al mio gruppo. Dopo la prima mezz’ora di allenamento viene un collaboratore da me, mi tocca sulla spalla e mi dice ‘ma quanto è forte il ragazzino?’".
Si può dire quindi che sia stato lei a lanciarlo. "Si, è così. Ma il merito è tutto suo, del suo talento. Io ho solo cercato il modo migliore per farlo venire fuori. Mi ricordo che avevo cambiato anche modulo per lui: io non giocavo con il trequartista, ma pensavo - e penso ancora oggi - che fosse il ruolo giusto per lui. E infatti… segnava in ogni modo. Di rapina, d’astuzia, da fuori area. E quante volte ha mandato in porta i compagni. Ricordo ogni sua giocata come l’avesse fatta ieri".
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Le viene in mente qualche aneddoto se pensa al “suo” Joao Felix? "Un ragazzo umile, silenzioso e allegro. Ricordo che stava molto sulle sue. Era come se ci fosse un Joao fuori dal campo - timido e riservato -, che però in campo diventava Felix e si trasformava. Diventava leader all’improvviso. Anche senza chiacchierare molto. Gli bastava un gesto o un’occhiata. Non comunicava sempre quello che pensava, ma non l’ho mai sentito dire una cosa banale. In campo, in spogliatoio, ma anche a cena dopo le partite. Pesava le parole".
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