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Gli immortali: quando il Milan era leggenda

Gli Immortali: quando l'AC Milan è diventato leggenda
Un ripasso di storia rossonera: gli Immortali, quando il Milan era Leggenda. La rivoluzione tattica e atletica di Sacchi, gli olandesi e la ricerca del gol in ogni partita, anche in trasferta.

Matteo Ronchetti

Il Milan di Arrigo Sacchi è stata senza dubbio una delle squadre che sono entrate nella storia del calcio, non solo italiano ma mondiale. Come era solito ripetere il tecnico di Fusignano, giocare a calcio vuol dire saper fare tutto: non solo attaccare, non solo difendere. Ebbene, quel Milan da leggenda ne era la perfetta dimostrazione. Calciomagazine.net ha ricostruito alcuni aspetti di quel periodo ripercorrendo la filosofia “Sacchiana” e capendo in che modo i rossoneri hanno cambiato il calcio, grazie a concetti e principi che mai erano stati applicati in precedenza. Era il Milan dei tre olandesi, è vero, ma anche del fuorigioco e della zona, così come di una difesa insuperabile. Spettacolo e pressing racchiusi in partite che sono entrate negli annali. Ripercorriamo insieme la storia di quella squadra, entrata nella storia del calcio come “il Milan degli immortali”.

Una storia da leggenda

Quella di Arrigo Sacchi era una idea a dir poco rivoluzionaria, favorita dalla lungimiranza del presidente Silvio Berlusconi, che non badò a spese pur di assecondare i desideri del suo tecnico. Così Sacchi poté operare nelle condizioni migliori possibili per far conoscere la propria idea di calcio. Non a caso in Italia riuscì a vincere subito, con lo scudetto arrivato nel 1988, e non ci volle molto tempo per conquistare l’Europa e il mondo, con l’arrivo in bacheca della Coppa dei Campioni, della Supercoppa Europea e della Coppa Intercontinentale.

La rivoluzione di Sacchi

Quando arrivò a Milanello, Arrigo Sacchi diede vita a una rivoluzione vera e propria in relazione al modo in cui la funzione dell’allenatore era stata concepita e considerata fino ad allora. Una pianificazione maniacale – e non usiamo in maniera casuale questo aggettivo – stava alla base di quella squadra: l’idea di Sacchi era quella di comunicare la sua idea di gioco a tutti i membri della squadra, che in occasione dei ritiri venivano salutati uno ad uno per la buonanotte. Un saluto, certo, ma anche un modo per ripassare le ultime indicazioni in previsione della partita seguente.

I sistemi di allenamento

I sistemi di allenamento di Arrigo erano nuovi e differenti, senza dubbio severi e perfino pesanti, ispirati anche ai principi del calcio totale messo in pratica negli anni Settanta dall’Ajax di Cruijff. Il modulo di riferimento era, come noto, il 4-4-2, con le fasce propulsori di gioco e le due punto. Nell’estate del 1987, il primo acquisto concluso da Silvio Berlusconi fu quello che portò all’ombra del Duomo Ruud Gullit, comprato dal PSV per 13 miliardi di lire: oggi sembrano bruscolini, ma al tempo non era certo così. All’inizio Gullit venne presentato come libero, ma Sacchi decise di usarlo immediatamente come ala. Egli fu l’uomo simbolo di tutta la campagna acquisti, ancora più di Marco van Basten, che giungeva dall’Ajax. Mancava un centrocampista, fu trovato in Carlo Ancelotti, che al tempo giocava nella Roma.

La tattica

La rivoluzione di Sacchi fu prima di tutto di natura tattica. Il tecnico emiliano voleva mettere in atto le nozioni di calcio totale e di intelligenza collettiva, in cui tutti gli elementi in campo, con il rombo della linea mediana, dovevano essere in grado di far tutto e soprattutto dovevano sapere quali spazi avrebbero dovuto occupare in campo. La difesa era a zona e non era previsto l’uso del libero: questa al tempo fu una novità nel nostro Paese. E poi, certo, c’era il pressing senza sosta da applicare per mettere in crisi gli avversari, affinché la squadra risultasse il più possibile corta fra i reparti. La tattica di Sacchi si fondava sul modulo, e solo in secondo piano sulle caratteristiche dei giocatori. In seguito tanti allenatori, come per esempio Sarri e Guardiola, hanno preso spunto da quel Milan da leggenda.

Il possesso palla

La fase di possesso palla era altrettanto importante, perché serviva a tenere la squadra stretta e corta. In questo modo la costruzione di gioco poteva essere veloce e adattata a sincronismi tra spazio e movimento. Sacchi voleva non solo che venissero occupati gli spazi che gli avversari lasciavano liberi, ma anche che la manovra fosse accompagnata dal maggior numero possibile di giocatori. Di conseguenza il modulo, durante la fase del gioco attiva, diventava un 2-3-3-2, dal momento che i terzini arrivavano fino al vertice basso del rombo di mediana, mentre le mezzali si spostavano in avanti. Tutte le volte che un calciatore rossonero aveva il pallone tra i piedi, doveva avere a disposizione non meno di quattro opzioni di passaggio che dovevano essergli offerte dai suoi compagni.

Il Milan e la ricerca del gol

Come arrivare in porta, dunque? Una prima soluzione prevedeva di utilizzare le vie laterali, in modo che dalle fasce potessero giungere i cross per la testa di Gullit o per quella di van Basten, due fenomeni nel gioco aereo. In alternativa si poteva ipotizzare una soluzione centrale, con il movimento di Donadoni, che rappresentava il vertice alto del rombo e che aveva facoltà di muoversi fra le linee per poi verticalizzare nel più breve tempo possibile per gli attaccanti. La fase difensiva, invece, si fondava sulla zona: non quella mista che si usava al tempo nel nostro Paese, ma quella pura. Fra i centrocampisti e i difensori non dovevano esserci più di 30 metri di distanza, e proprio per questo motivo la difesa doveva salire il più possibile, così da mettere in fuorigioco gli avversari (fuorigioco che, all’epoca, valeva anche per i giocatori non coinvolti direttamente nell’azione).

Il pressing

Come noto, il pressing è stato uno dei punti chiave del Milan di Sacchi, e doveva iniziare già dalle punte, che avevano il compito di sottrarre il pallone all’altra squadra. Lo scopo era quello di ritrovarsi in tutte le aree del campo in condizioni di superiorità numerica, così che potesse cominciare la fase di transizione che avrebbe permesso di salire in attacco. È così che si spiegano i successi più famosi della storia del Milan, dal 5 a 0 rifilato al Real Madrid il 19 aprile del 1989 al 4 a 0 di un mese dopo nella finale di Coppa dei Campioni contro i romeni della Steaua Bucarest.

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