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Antonioli e l’incubo della regola del retropassaggio al portiere: la storia

Antonioli e la regola del retropassaggio che ha cambiato il calcio ultime notizie AC Milan (GettyImages)
Il racconto dell'introduzione della regola che vieta al portiere di prendere il pallone con le mani su retropassaggio, con vista da Antonioli

Redazione

Quando venne introdotta, esattamente 30 anni fa, fu un vero e proprio incubo per i portieri di tutto il mondo. Infatti, da quella lontana estate del 1992 in poi, il calcio non è stato più lo stesso e cambiò in modo radicale. Stiamo parlando della regola del retropassaggio volontario al portiere, una vera e propria rivoluzione calcistica targata FIFA che ha, di fatto, letteralmente legato le mani a tutti gli estremi difensori del globo, stravolgendone il ruolo e obbligandoli necessariamente, di lì in avanti, ad acquisire via via sempre maggior capacità e competenza nel saper giocare il pallone con i piedi, impedendo loro di raccogliere la sfera con le mani, com'era avvenuto sino ad allora.

Prima del suo prorompente arrivo, c'era un calcio in cui un portiere poteva prendere con le mani il pallone passato indietro dal compagno di difesa, giocherellarci, perdere tempo. Era solo tre decenni fa, ma sembra un'altra era, altro che 'costruzione dal basso'. Era il 23 luglio del 1992, e la regola cambiò per sempre. La Fifa aveva capito che, spostando un piccolo parametro, sarebbero cambiate tante cose. Anche il modo di intendere il calcio. Un tempo, il retropassaggio risolveva tante situazioni complicate, salvaguardando la porta. Non era elegante, ma efficace. Una specie di censura allo spettacolo calcistico per la conservazione del risultato.

Stava quindi nascendo la regola che avrebbe stravolto inconsapevolmente l’etica del gioco del calcio. Un calcio fatto di ritmo veloce, pressing asfissiante, ossessiva strategia e quell’ostacolo in più per il portiere, rappresentato dal veto assoluto di bloccare la palla con le mani dopo il passaggio volontario del difensore, appunto. Una norma - questa - introdotta per evitare eccessive perdite di tempo, che con il passare degli anni ha complicato e responsabilizzato ancor di più il già difficile ruolo dell’estremo difensore.

Il primo portiere italiano che si trovò di fatto coinvolto in questa nuova e curiosa situazione di gioco fu Francesco Antonioli, portiere del grande Milan di Arrigo Sacchi prima e di Fabio Capello poi che, durante la spedizione con la Nazionale olimpica a Barcellona 92, dovette suo malgrado sperimentare per la prima volta la nuova regola in modo diretto, in occasione del match disputato dagli azzurrini contro gli Stati Uniti il 24 luglio di 30 anni fa, conclusosi con il punteggio di 2-1 per la nostra Nazionale.

In una recente intervista rilasciata a questo proposito dallo stesso Antonioli ad un quotidiano, in occasione del 30' anniversario dall'entrata in vigore della norma, l'estremo difensore rossonero ha raccontato quella innovativa esperienza. In particolare, lui ricorda nell'intervista come l'allora CT della selezione italiana, Cesare Maldini – un altro milanista doc - gli chiese, prima della partita, di essere coinvolto anche nelle azioni di ripartenza dei suoi compagni. Di velocizzare il gioco, di essere l'uomo in più per la squadra.

E lui, che era dotato di piedi buoni, grazie ai quali poteva giocare il pallone con una certa scioltezza e dimestichezza, diventò un vero e proprio valore aggiunto per i suoi compagni, riuscendo a cavarsela in modo più che egregio nel suo nuovo ruolo. Ad un portiere, ruolo tutt’altro che banale, come già detto, vengono richiesti - di default - senso della posizione, riflessi, agilità e anche tattica. Non solo saper parare, ma costruire dal basso e spezzare la trama offensiva in caso di ripartenza avversaria, riducendo al minimo il margine di errore.

Francesco Antonioli, dopo oltre 800 partite da professionista, le ricorda bene le sensazioni che si provano a difendere la propria porta. Antagonista solitario, cosciente di un ruolo silente quanto decisivo. "Quello fu un cambio epocale", ricorda oggi Francesco Antonioli. "Nei settori giovanili non ti insegnavano a prendere il passaggio indietro con i piedi, ma avevo giocato al Milan con i difensori migliori al mondo e di trattenere la palla con le mani non è che ci fosse troppo bisogno: per questo, quando fui il primo ad affrontare la nuova regola, mi trovai tutto sommato bene".

“Adesso forse un po' si esagera a far giocare i portieri con i piedi, a volte se ne potrebbe fare a meno. Il portiere oggi segue maggiormente le indicazioni fornite dal suo allenatore".

Oggi gli allenatori hanno dato incarico ai portieri di avviare l'azione. “Il calcio è cambiato - dice Antonioli - e cambia continuamente, bisogna prenderne atto. Tuttavia, non si deve ritenere che questa nuova regola incida tanto sull'esito delle partite. La parata invece, quella sì che incide". E se lo dice un portiere come Antonioli, c'è veramente da credergli.

Testi e consulenza storica a cura di Giovanni Labate.

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