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Sacchi: “Nell’88 grande gioia. Importa come vinci, non quanto”

Arrigo Sacchi Milan
Ai microfoni di Radio 24, l'ex allenatore rossonero Sacchi ricorda lo Scudetto vinto 30 anni fa e ha affrontati tanti altri temi. Ecco le sue parole.

Stefano Bressi

Sono passati trent'anni esatti. Il 15 maggio 1988 arrivava il primo grande successo del Milan targato Silvio Berlusconi, che avrebbe dominato in tutto il mondo per venticinque anni. In panchina c'era Arrigo Sacchi, che ha avuto il merito di plasmare una squadra capace di vincere e convincere contro ogni avversario. Ai microfoni di Radio 24, proprio Sacchi ha ricordato quel successo e quel Milan, parlando però prima dell'arrivo di Roberto Mancini sulla panchina dell'Italia. Ecco le sue parole.

Sull'Italia e Mancini: ""Pensiamo sempre che un singolo possa risolvere tutto. Ci può mettere una pezza, ma non si ha futuro. Per vivere nel futuro dobbiamo lasciare alle spalle il passato. Chi è ottimista guarda sempre all'innovazione, chi è pessimista cade nella routine e cade nel passato. Avere un gruppo pensante significa elevare l'intelligenza del gruppo. L'elemento più importante è il club, in questo caso la Federazione. Con le sue norme, la storia, ecc.. Poi viene la squadra e poi il singolo. In questo Paese invece si sono invertite le cose. L'UEFA mi ha messo tra gli allenatori che hanno contribuito all'evoluzione del calcio. La prima cosa che ho fatto è stata chiamare i presidenti per condividere questo premio. Dovevo chiamare anche i giocatori, ma il club per me viene sempre prima".

Sul Milan e lo Scudetto 1988: "Noi avevamo un club che aveva un'altra storia rispetto al Napoli, un club poderoso. A cui non bastava vincere, ma anche convincere. Di solito chi gioca meglio vince. Se invece l'avversario riesce a compensare il fatto che giochi peggio con altre cose, succede che non vinci. Purtroppo questo è un Paese che si è tenuto un po' troppo nell'ignoranza. Quindi non c'è molta cultura sportiva. Quindi non riescono a giudicare quando una squadra ha dato tutto. Giudicano il risultato. Per esempio nel Mondiale '94, quando stavamo perdendo contro la Nigeria. Avevano già scritto gli articoli fallimentari. Pareggiamo al 90', e vinciamo ai supplementari. Si strappa l'articolo e se ne fa uno nuovo. Invece se abbiamo giocato male doveva rimanere il primo. Noi cerchiamo sempre il populismo, se hai vinto si parla bene per vendere più giornali. Io non sono in Sarri e non so cosa dovrebbe fare, ma non c'è solo lui... È stato uno dei campionati più interessanti. Perchè 5 o 6 squadre hanno avuto la voglia di impossessarsi del gioco. Come la Sampdoria, ma anche lo stesso Benevento. Sarri è stato il capostipite di questo gruppo. L'ha seguito la Lazio, la Roma... La Roma ha avuto coraggio e idee. Si sono verificate cose che non si verificavano da tempo. Anche la Juve che quasi eliminava il Real Madrid. Abbiamo avuto più coraggio, anche dando miglior gioco alle squadre. Quando il gioco viene acquisito, le risposte sono immediate e naturali, ci sono sincronismi. È ovvio che se giocano tutte bene, ma da una parte c'è Higuain e dall'altra io, il gol lo fa sempre Higuain. Con il mio Milan non pensavamo di meritare premi particolari, non ce ne rendevamo conto, ma praticamente tutti, dalla UEFA a WorldSoccer ci hanno considerato la squadra più forte di tutti i tempi. Non è importante quanto vinci, ma come vinci. Alcuni allenatori inglesi mi hanno chiesto come ha fatto a uscire fuori quella squadra proprio dall'Italia, perchè eravamo una squadra aggressiva. Noi avevamo una mentalità internazionale: una vittoria senza merito per noi non era una vittoria. Noi abbiamo interpretato il calcio come sport aggressivo di squadra, di solito in Italia lo consideriamo difensivo e con i singoli. La Juve gioca un calcio più italiano. Non si possono contestare, ma così non vinci in Europa. In Europa vinci attaccando, non difendendo. Quello Scudetto del 1988 è stata una grande gioia. Abbiamo lavorato tanto, come tutti, ma credendoci più degli altri".

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