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Vecchi svela: “Buffon è stato a un passo dal Milan. Su Donnarumma…”

Villiam Vecchi, foto Getty Images

Villiam Vecchi, ex estremo difensore del Milan, compie nella giornata di oggi settanta anni: ecco l'intervista rilasciata alla "Gazzetta dello Sport"

Salvatore Cantone

Villiam Vecchi, ex portiere del Milan, compie nella giornata di oggi settanta anni. Ecco l'intervista che ha rilasciatato alla Gazzetta dello Sport: "Ricordo più bello della carriera? Come portiere la Coppa delle Coppe con il Milan nel 1973, contro il Leeds, a Salonicco. Vincemmo 1-0 con gol di Chiarugi e i giornali mi definirono “l’eroe di Salonicco”, perché parai tutto. Come aiutante di Ancelotti due Champions: con il Milan, contro la Juventus nel 2003, e poi la Decima con il Real Madrid nel 2014. E pensare che io non volevo andare a Madrid, ma Carlo aveva insistito così tanto che non riuscii a dirgli di no. E ha avuto ragione, perché l’esperienza a Madrid è stata splendida".

Quanto le è bruciato quel 5-3 nella «fatal Verona», pochi giorni dopo Salonicco, che vi costò lo scudetto della stella?

"È il ricordo più brutto, un incubo che mi ha accompagnato a lungo. Eravamo arrivati troppo sicuri di vincere, perché il Verona era già retrocesso. Invece a loro andò tutto bene".

Che rapporto aveva con Rocco?

"Ottimo. Mi fece esordire in un derby al posto di Cudicini, infortunato. Sapevo che il titolare era lui e allora dopo due anni chiesi di andare via. Il “Paron”, però, mi fermava, promettendomi di farmi giocare: “Ciò mona, non vedi che il longo non sta in piedi?”. Invece poi giocava lui e Rocco aveva ragione perché Cudicini era più forte di me. Lo stimavo così tanto che gli chiesi di fare il mio testimone di nozze".

Perché ha sempre fatto soltanto il vice?

"Perché non avevo il carattere, ma mi sono tolto lo stesso grandi soddisfazioni, soprattutto grazie ad Ancelotti".

Come vi siete conosciuti?

"Per un caso, molto fortunato. Bucci voleva che lo raggiungessi al Parma e così, nel febbraio del 1996, firmai il contratto per la stagione successiva. Ero convinto di lavorare con Capello che si era già accordato con il Parma. Invece lui andò a Madrid e al suo posto arrivò Ancelotti, con cui ho legato subito, perché siamo della stessa terra. E quando Carlo è andato alla Juve mi ha portato con sé".

È stato un caso anche l’arrivo di Buffon alla Juve?

"No, e le racconto perché. Dopo l’acquisto di Carini, un giorno mi chiama Umberto Agnelli per chiedermi com’è quel giovane portiere e io gli rispondo che c’è da lavorare molto. Il pomeriggio successivo Agnelli e Giraudo vengono a vedere l’allenamento e si mettono dietro la porta di Carini, mentre io e Carlo parliamo in dialetto per non farci capire. Dopo un’ora Giraudo mi chiede: ”Se lei dovesse scegliere un portiere, chi prenderebbe?”. Gli faccio il nome di Buffon e aggiungo: “Anche se costasse 100 miliardi”. Lui mi risponde: “Se lo conosce, vada avanti”. Chiamo Gigi, che però non era entusiasta perché lo volevano già la Roma e il Barcellona. Il suo procuratore, Martina, mi conferma che il Barcellona gli ha offerto dieci miliardi di lire all’anno. Riferisco a Moggi che mi dice: “Fagli sapere che glieli diamo anche noi”. E così Buffon arriva alla Juve".

Poi, però, lei stava per portarlo via dalla Juve...

"Ero passato al Milan, sempre con Carlo, e nel 2006 quando la Juve è retrocessa, abbiamo fatto un pensierino a lui perché Dida non stava bene fisicamente. Galliani aveva dato via libera, Gigi sarebbe venuto per me ed era d’accordo anche sull’ingaggio. Berlusconi, però, disse che non si potevano spendere 30 milioni di euro per un portiere e non se ne fece nulla".

Donnarumma è l’erede di Buffon?

"È sulla sua strada. Bisogna vedere se rimarrà ad alti livelli, ma adesso è giusto che sia il suo erede in Nazionale".

Per chi tifa ora?

"Sono milanista da sempre e auguro a Gattuso il quarto posto. Ma mai avrei immaginato di fare il tifo anche per il Napoli, per colpa di Carlo".

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