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F.Galli: “Addio Milan, ma il tuo futuro l’ho creato io”

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Filippo Galli, dopo nove anni, lascia il settore giovanile rossonero: non voleva solo un ruolo di facciata. L'addio fa ovviamente molto male.

Stefano Bressi

Sono stati nove lunghi anni. Nove anni in cui Filippo Galli ha sfornato dal settore giovanile rossonero tantissimi talenti che sono riusciti poi a imporsi ad alti livelli. La prima squadra rossonera ha attinto tantissimo dal vivaio e gran parte del merito è proprio dell'ex difensore milanista. Da Gianluigi Donnarumma a Mattia De Sciglio, da Bryan Cristante a Davide Calabria, fino a Patrick Cutrone e Manuel Locatelli. Tutti cresciuti nel suo vivaio e diventati grandi campioni. Dal 1° luglio, però, . Ennesima rottura del nuovo Milan con quello vecchio. Una decisione che arriva proprio alla fine di una stagione in cui il Milan ha ottenuto il primato come squadra con l'età media più bassa. Intervistato da "La Gazzetta dello Sport", Galli racconta il suo addio al Milan.

Come si sente: "Dire addio al Milan è stata una mia scelta, come quando ho deciso di smettere di giocare. Stavolta però c'è molta più delusione, lo dico senza polemica, ma non lo nascondo".

Perché è deluso: "Ho dovuto maturare questa delusione mio malgrado: l'area tecnica del Milan mi aveva offerto di restare come numero uno del settore giovanile del Milan e di questo lo ringrazio; ma avrei dovuto rinunciare ai miei collaboratori storici come Edoardo Zanioli, responsabile del coordinamento tecnico, e Domenico Gualtieri, capo dell'area atletica, e accettare il nuovo responsabile tecnico senza avere voce in capitolo. Sia chiaro che la società ha tutto il diritto di scegliere e cambiare, ma io non potevo andare avanti così. Lo avrei vissuto come un ruolo di facciata. Credo molto nel nostro lavoro, che si basa sul metodo integrato".

Cos'è il metodo integrato: "Un calciatore non è una somma delle parti, ma un insieme di componenti miscelate in maniera indissolubile. Abbiamo lavorato partendo dal gioco e dal possesso palla come principi guida e cercando di creare il contesto ideale per far crescere i giovani del Milan. Il talento non basta. Messi per esempio in Nazionale non si esprime come al Barcellona. Il contesto influisce sui big, figuriamoci su ragazzini che si stanno formando. Chi sia affaccia alla prima squadra deve conoscere i principi di gioco e nel nostro metodo ogni professionista dello staff deve contribuire alla crescita".

Se è per questo che Cutrone è esploso: "Sarei presuntuoso se pensassi che a incidere è solo il settore giovanile. Il processo si completa con il lavoro dell'allenatore e di tutto il club. Però Patrick è arrivato preparato, sì".

Quelli di cui va più fiero: "È un elenco lungo... Di sicuro quelli che ora sono in prima squadra: Donnarumma, Locatelli, Calabria e Cutrone".

Sulle promesse scartate troppo presto: "Aubameyang era con me quando allenavo la Primavera, ma allora era più difficile entrare tra i grandi. Poi c'è Cristante, andava aspettato".

Chi lo ha impressionato subito: "A parte Gigio direi Verdi. L'ho visto in un torneo in Spagna nel 2009 e ho chiamato Galliani dicendogli che era un fenomeno".

Sull'attenzione del club al settore giovanile: "Dal 2012 la società ha deciso di non fare più scouting dagli Under 15 in su e quella scelta ci ha agevolati. Si lavorava sugli stessi giocatori dai 12-13 anni, fino a portarli in prima squadra".

Il Milan giovanile vince poco, ma sforna telenti. Il risultato è secondario? "La vittoria conta, ma deve essere funzionale alla crescita, vale anche per le seconde squadre. Se ogni anno mando un giovane in prima squadra, ho stravinto. Al Milan abbiamo lasciato il futuro pronto".

Sul proprio futuro: "Non lo so ancora, ma vorrei proseguire con questo lavoro. Mi piacerebbe anche dare una mano alle aziende, offrire la mia esperienza per lavorare in team".

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