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Ferrero, sequestro dei beni per indagine della GdF

Stefano Bressi

La Guardia di Finanza sta indagando su Ferrero, presidente della Sampdoria. Si ipotizza appropriazione indebita e impiego di soldi di provenienza illecita.

Non arrivano buone notizie per Massimo Ferrero. Il presidente e proprietario della Sampdoria infatti è coinvolto in un'indagine del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, che coinvolge anche altre tre persone. La Guardia di Finanza sta dunque eseguendo un decreto di sequestro nei confronti del presidente. I reati che vengono ipotizzati sono: appropriazione indebita, truffa, emissione e utilizzo di fatture false, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

In particolare, informa la Guardia di Finanza, nell'ambito dell'operazione denominata "Fuori Gioco", il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria ha dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo per un valore complessivo di oltre 2,6 milioni di euro nei confronti della Sampdoria, del presidente Ferrero () e altri 5 indagati. Secondo la ricostruzione dei flussi finanziari da parte dell'autorità è emerso che gran parte di queste somme è stato utilizzato per l'acquisto di un immobile a Firenze, anch'esso sequestrato.

Oggetto del sequestro ovviamente anche la Sampdoria, destinatario del provvedimento per un importo di oltre 200mila euro. Le investigazioni hanno consentito di individuare alcune ipotesi di distrazione dalle casse della società, per un importo di 1,2 milioni circa, parte della cessione di Pedro Obiang al West Ham nel 2015, tramite fatture per operazioni inesistenti emesse da un'altra società riconducibile a Ferrero, anche se amministrata da un'altra persona. Questo denaro, inoltre, risulta in parte reimpiegato per sanare situazioni debitorie di altre società di Ferrero e per finanziare altre due società riconducibili sempre al presidente della Samp, per l'attività di produzione di un film.

Le indagini hanno inoltre fatto emergere finte controversie di lavoro, dinanzi alla direzione territoriale del lavoro di Roma, mediante le quali, simulando l'esistenza di rapporti di lavoro subordinato con cinque società del gruppo, venivano conclusi cinque distinti accordi transattivi, con percezione indebita di 500mila euro.

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