Un pallonetto che sembra disegnato a mano
—La palla parte morbida, elegante, quasi delicata. Una parabola lenta, sospesa, che sembra chiedere al mondo di aspettare un attimo, di non respirare finché non avrà deciso lei dove cadere.
È un secondo lunghissimo. Il Meazza trattiene il fiato. È come se l’intero stadio si sollevasse insieme a quella palla, seguendola in un viaggio silenzioso, inevitabile. Buffon prova il passo indietro, allunga la mano, ma il pallone gli scavalca la testa con una naturalezza che lascia disarmati. Non c’è potenza: c’è classe pura. Non c’è fortuna: c’è ispirazione.
Un gesto tecnico voluto (senti il video qui sotto) che oggi si rivede di rado, e quasi mai con questa intensità emotiva.

Il Milan che non aveva paura di essere bello
—Quel gol non è solo Shevchenko. È il simbolo di un Milan che allora viveva di coraggio, di intuizioni, di talento. Un Milan che non accettava di essere ordinario, anche contro un gigante come Buffon. Sheva non segnava: creava arte. E quel gol è uno dei motivi per cui il suo nome, ancora oggi, scalda i cuori rossoneri. Un pallonetto che non era un semplice colpo: era la dimostrazione che il Milan poteva vincere anche attraverso la bellezza. Perché quel ricordo non svanisce mai.
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Rivederlo oggi, dopo tanti anni, provoca la stessa sensazione di allora: un brivido lungo la schiena, la certezza che ci siano gol destinati a vivere per sempre. Non importa quanti trofei si vincano, quanti campioni passino o quanti anni trascorrano: ci sono istanti che non diventano mai vecchi. E quel pallonetto di Shevchenko a Buffon è uno di quelli. Un frammento di poesia in un calcio che spesso corre troppo per accorgersi dell’arte. Un momento che continua a unirci, a ricordarci perché il Milan non è una squadra: è un sentimento. (di Francesco Fredianelli)
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