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MILAN: 3cose che non vanno

Niang, attaccante del Milan, Getty Images
Dopo la scialbo pareggio contro il Carpi, sono diverse le cose che non vanno in questo Milan. Analizziamole nel dettaglio.

Donato Bulfon

Temperamento

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Le difficoltà maggiori mostrate dal Milan contro il Carpi sono di natura psicologica. Una grande squadra si vede innanzitutto dal modo in cui sta in campo, sin dal primo minuto: testa alta, giocate rischiose e tiri frequenti. Niente di tutto ciò si è verificato domenica sera, soprattutto nella prima mezz’ora. Lo sguardo era sempre a terra, per cercare di proteggersi dall’altissimo pressing avversario; i passaggi in orizzontale e all’indietro dominavano i pensieri rossoneri; l’unico tiro nei primi trenta minuti è stato un tentativo da lontano di Niang che non ha centrato la porta. La percezione era quella di una squadra impaurita e frenata dall’obbligo di vincere, obbligo delle grandi squadre. Questa situazione allora potrebbe essere il frutto della pericolosa rivoluzione che ha portato il Milan a privarsi di quasi tutti i protagonisti dell’ultimo ciclo vincente, quello dello scudetto di quattro anni fa (sono rimasti solo Abbiati e Abate). Senza una mentalità vincente e senza campioni che possano trasmettere questa mentalità al resto del gruppo, anche andare in casa del Carpi e imporre il proprio gioco diventa terribilmente difficile.

Federico Graziani

Atteggiamento tattico

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Oltre alla testa, c’è un’altra cosa che le grandi squadre tengono alta: la difesa. In questo modo è possibile imporre le proprie idee tattiche e muovere la difesa avversaria per trovare la verticalizzazione giusta. Anche in questo atteggiamento, il Milan si è mostrato insufficiente. Certo è accaduto più volte che i difensori si trovassero a palleggiare intorno al centro del campo, ma più per mancanza di idee che per seguire una precisa strategia d’attacco. Il Milan avrebbe dovuto gestire il possesso e pianificare attacchi corali. Al contrario, si è mostrato squadra in attesa di chissà cosa, forse di un colpo di genio di un suo giocatore, che però non è mai arrivato. Se Cerci è sembrato aver perso lo spunto delle prime partite da titolare, Bonaventura era troppo chiuso per inventarsi qualcosa. Così il Milan, aspettando un Godot che non si è palesato, è rimasto incartato nella gabbia tattica del Carpi.

Federico Graziani

Gioco

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Siamo a dicembre inoltrato eppure sembra Ferragosto. Non certo per il clima, quanto per il gioco espresso dal Milan, con giocatori che sembrano conoscersi da quattro giorni, invece che da quattro mesi. Mancano gli automatismi, che si stanno vedendo invece nelle altre grandi squadre, Fiorentina e Napoli su tutte, ma anche nella Juventus, che sta cominciando a venire fuori come squadra vera. Cosa che non è il Milan. Non appena gli avversari chiudono gli spazi e alzano il pressing, il Milan va in crisi di gioco. È successo contro il Carpi, ma anche contro l’Atalanta e il Torino. Nel momento in cui c’è poco tempo e spazio per organizzare le azioni offensive, il lavoro in allenamento dovrebbe manifestarsi, ore passate ad esercitarsi sugli stessi movimenti e a mandare a memoriagli schemi. È chiaro invece che il Milan non sappia cosa fare. Come l’anno scorso con Menez, quest’anno si cerca in Bonaventura il guizzo che possa scardinare le difese avversarie. Bonaventura però, per quanto sia bravo, non è Messi. Ha bisogno di una squadra. Ha bisogno di un gioco. Che al momento, purtroppo, non c’è.

Federico Graziani

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